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I racconti di Damiano Leo

Venerdì 1 Gennaio 2016
UN UOVO CIASCUNO


         Maria aveva da poco finito di riordinare la cucina, che già si era fatta l’ora di cena. Io e mio fratello Antonio, come succedeva in pratica tutte le sere, eravamo rincasati insieme per rimanere fedeli alla tradizione familiare che ci voleva tutti intorno alla stessa tavola. Cosimo e Giuseppe, i più piccoli della nidiata, gironzolavano per casa già dall’uscita della scuola. 
              Quella sera nessuno sembrava avere un grosso appetito. Mia madre, come sempre, si sarebbe accontentata di poco, anche di un pezzo di pane, aveva fatto sapere a Maria.  Mia sorella, eternamente addetta al ferro da stiro, a spolverare, strigliare pavimenti e scale e, ancor più, a sguazzare tra pentole e fornelli, quella sera poteva concedersi una mezza pausa. Anche lei, insolitamente per la verità, poteva sistemarsi lo stomaco con poco.
 Con una breve consultazione familiare, coordinata dall’esperienza materna, determinammo che nostra sorella avrebbe preparato un uovo ciascuno. Probabilmente la fugacità della cena e la prospettiva di non dover mettere a soqquadro la cucina, dette a nostra sorella volontà e pazienza per prepararci l’uovo ad ognuno in modo diverso. Bontà sua. A me l’uovo piaceva strapazzato con formaggio. Mi accontentò immediatamente. Dimenticavo di assicurarvi che a Maria andava molto a genio l’adagio che recita: “Chi sparte ha la meglio parte”. A lei non era mai capitato di dimenticarsene. Noi fratelli, ed anche mia madre, lo sapevamo bene. Nel fare le porzioni teneva sempre per sé il pezzo migliore. Era il suo modo d'auto ricompensarsi. Di buon grado, anche se tacitamente, accettavamo. Torniamo alle uova. Tonino lo volle all’occhio di bue e Maria, l’uovo di Tonino, lo fece all’occhio di bue. Un uovo per me, un uovo per mio fratello. Armata com’era di buona volontà, era ben poca cosa preparare un uovo a tutti. Mia sorella chiese anche a Cosimo come gradisse il suo uovo. Soddisfare il penultimo dei fratelli non fu difficile. Lui l’uovo lo gradiva col pomodoro e Maria col pomodoro lo fece. Mia madre, lei si accontentava sempre con poco, disse a Maria che il suo uovo poteva farlo come voleva. Tanto si trattava di un uovo. Nostra sorella preparava di là l’uovo alla mamma e noi di qua, ridacchiando, ci chiedevamo come avrebbe preparato l’uovo per se stessa. Eravamo sicuri che si sarebbe in qualche modo distinta. Lei lavorava per tutti ed era anche giusto che si riservasse un trattamento migliore. Ci chiedevamo come avrebbe fatto il suo uovo, giacché doveva necessariamente essere migliore. L’uovo per mia madre lo fece à la coque. Si digeriva meglio. Cinque uova per cinque di noi, tutti cotti in un modo diverso. La curiosità di vedere come avrebbe cotto il suo uovo, si faceva sempre più grande. Doveva sicuramente prepararselo meglio, il suo uovo, ma come? Maria tornò in cucina. Toccava a lei. Finalmente poteva pensare al suo uovo. Mia madre, io e i miei quattro fratelli, aspettavamo con ansia l’uovo di Maria. Eravamo tutti sicuri che doveva essere meglio. Doveva essere speciale. Mia sorella era fatta così. “Sgobbo, ma una qualche riconoscenza la voglio”.  L’uovo di Maria doveva necessariamente essere diverso. Sì, ma come? Non ci veniva in mente niente. Mia sorella armeggiò in cucina qualche secondo in più. Si presentò spavalda e fiera. Nel suo piatto fumavano due uova. Ridemmo di botto a crepapelle.

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