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I Racconti di Damiano leo

Sabato 13 Febbraio 2016
IL BAGNO
 
         Carmelo tante volte aveva dovuto riportare indietro cani e gatti. In quella casa, troppo piccola anche per noi, non poteva esserci posto per animali, neanche se di piccola taglia. Quella volta, però, sua moglie Teresina, strenua difensora della quieta domestica, non aveva opposto resistenza. Un micino strappato alle grinfie di un grosso cane inferocito, non poteva tornare indietro. Troppo indifeso, troppo accattivante quel grazioso micino per non tentare di affidarlo alle nostre cure.
          Alfonso mostrò subito poca attitudine alla toilette da fare al gattino e mi scaricò ogni incombenza. Il gatto andava accudito, e come si doveva, se volevamo sbatacchiarcelo ancora. La mia tenera età non mi impedì di capire che, da allora in poi, toccava a me dar da mangiare, monitorare ogni movimento del felino e, soprattutto, tenerlo pulito. D’altronde io, più di tutti, avevo desiderato un animale in casa.
                               Quella mattina, come faceva solitamente, Carmelo si lasciò alle spalle moglie, figli e gattino, per recarsi in stazione, dove faceva il capo. Sua moglie si caricò sulla testa un tavoliere di pane da infornare e sparì all’orizzonte, non senza prima aver raccomandato, a me e ad Alfonso, di “alzare” (il verbo era suo) un occhio al gatto. Normalmente mia madre ci faceva “alzare” un occhio su qualcosa o su qualcuno. Con noi a casa non aveva di che preoccuparsi, almeno così credevamo noi.
         Il camino che non usavamo mai per lo scopo per il quale era stato costruito, per non causare spiacevoli incendi, giacché in quella microscopica casa si aggiravano troppi discoli, i miei lo avevano destinato a deposito di acqua, molta acqua e derrate, poche derrate. Una grossa tinozza di ceramica, artisticamente decorata a Vistole, da qualche anno era la nostra scorta d’acqua. A me il compito di tenerla sempre piena.
         Una o due volte al giorno dovevo recarmi alla vicina fontana, trascinandomi dietro un recipiente di plastica, capace di contenere una diecina di litri. La mia giovane età non mi permetteva un contenitore più capiente. Nonostante l’ora tarda la tinozza straripava. Sollevandomi sulle punte dei piedi riuscivo a scorgere il luccichio dell’acqua.
         Come d’incanto mi si pararono innanzi agli occhi tutti gli elementi per la buona azione della giornata: gattino, tinozza e acqua. Avevo tutti gli ingredienti per fare un bel bagnetto al mio micino. Sicuramente lui, il gatto, avrebbe apprezzato. Lo strappai dal pavimento come se l’animale fosse una ventosa. Issai le mani in alto. In cima il gatto si dimenava, forse pregustando il piacere di un bagno da tanto atteso. Miagolò ripetutamente. Lo strinsi dalla gola per non perdere la presa. Mi rizzai sulle punte dei piedi accostandomi quanto più potevo alla tinozza. Finalmente lasciai cadere, con forza, il gatto nel “suo mare”. A lui non restava che nuotare, ma non mi parve che volesse farlo. Smise di miagolare. Non si mosse e per molto tempo.
          Alfonso m’inchiodò subito alla realtà: al nostro gatto avevo fatto il primo e… ultimo bagno.                              

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