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I racconti di Damiano Leo

Sabato 5 Marzo 2016
A ME IL RESTO

         La chiesa si ergeva, maestosa, sul colle più alto del paese. Edificata un centinaio danni addietro con il contributo di tutto il popolo. Per il reperimento delle pietre ognuno aveva messo a disposizione        quelle delle proprie tenute. Lo aveva fatto anche il parroco del tempo, caricandosi sulle proprie spalle quante più sassi aveva potuto.
         Ad un tiro di schioppo aveva casa una nidiata di bambini, figli di Giovannina e Carmelo Manganiello. Poveri cristi, anche se non lo davano a vedere o, meglio, sapevano convivere con assoluta dignità la loro  condizione. Poveri ma, con dignità ed, in paese, avevano imparato ad apprezzarli. Piano piano si era sparsa la voce che Giovannina, pur non avendo mai conseguito la licenza elementare, sapeva far di conto a mena dito e aveva un’intelligenza fuori dal comune. Qualcuno attribuiva la cosa all’estremo bisogno con il quale, quella famiglia, doveva fare… i conti.
         Quando Alfonso e Gennarino, che erano nati a distanza di due anni uno dall’altro, dovevano iscriversi al catechismo per prepararsi per la Prima Comunione, Giovannina lasciò tutti a casa e si recò da sola in parrocchia. Chiese ed ottenne di conferire con il parroco, discendente, alla lontana, del prete, quello delle pietre. La donna lasciò l’ufficio parrocchiale con tanto di muso. Il parroco, alla sua richiesta, aveva risposto picche. Giovannina tornò alla carica il giorno dopo e il sacerdote, questa volta, si dette per sconfitto. I figli di quella madre erano autorizzati ad apprendere insieme le cose di Dio. Il grande un anno dopo, rispetto ai tempi canonici, e il piccolo un anno prima. Si sarebbero comunicati, per la prima volta, nella stessa giornata e Giovannina avrebbe, così, tenuto un solo piccolo, fugace ricevimento.
         Dopo la funzione, madre e figli fecero visita a parenti ed amici. Chi più e chi meno salutò i nei comunicati infilandogli nelle tasche, discretamente, qualche moneta. Provvidenza per le foto da farsi da lì a poco, prima di rientrare e apparecchiare per il fugace rinfresco pomeridiano.
         Dal fotografo i ragazzi sparirono dietro un pesante telo nero. Un lampo, due e le foto iniziavano il loro lungo processo di materializzazione. Non potevano, i tre, salutare se non avevano lasciato almeno un acconto. Alfonso, con solerzia, rovesciò le tasche sul bancone. Il piccolo tirò fuori solo qualche moneta, benché la mamma avesse imposto anche a lui  di fare come il fratello.
         L’uomo del flash s’affrettò a contare. Sentenziò che avanzava qualcosa e l’accostò al bordo estremo del bancone, dalla parte  dei ragazzi. Gennarino, che aveva contribuito solo in minima parte alla formazione del gruzzolo, allungò velocemente la mano ed altrettanto velocemente intascò il tutto. Il fratello maggiore protestò con la madre: «Come? Il resto a lui che ha dato meno? Io pago e lui prende il resto?» «Non temere, lascialo perdere; a te, i tuoi soldi, te li do dopo», rassicurò la madre. Ma Alfonso non seppe mai dopo quanto.


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