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Ho visto il mostro in faccia...

Domenica 19 aprile 2020
di Maria Gioia per il Nuovo Quotidiano di Puglia

Quando Mimmo Arganese ha scoperto di essere ammalato di Covid era il 19 marzo scorso. Quel giorno il 48enne di Ceglie Messapica, operatore sanitario presso il locale centro di riabilitazione San Raffaele, era libero. Si è appisolato sul divano per poi svegliarsi due ore dopo con febbre alta, dolori muscolari lancinanti, oppressione al petto e tosse. In quel momento, ha capito di trovarsi di fronte al grande mostro. Ha avvisato la famiglia, da cui si era allontanato per ragioni di sicurezza, come hanno scelto di fare medici e operatori sanitari sin dall’inizio della pandemia per tutelare gli affetti più cari, e ha contattato il medico curante Francesco Bellanova e l’amica pediatra Maria Rosaria Chirulli, che lo hanno preso per mano e accompagnato in un percorso drammatico fatto di febbre, dolore, sofferenze indicibili e lacrime. Un sabato sera le sue condizioni sono peggiorate. E in quel momento ha pensato di morire, tanto che è stato necessario chiedere l’intervento di un’ambulanza. Ma, da quel momento, a piccoli passi, è riuscito a riprendersi la sua vita. La prossima settimana dovrebbe essere sottoposto ai tamponi di controllo per verificare se si è negativizzato. L’esito dirà se potrà finalmente festeggiare la vittoria e dare inizio alla sua rinascita. 

Mimmo, sabato scorso lei ha deciso di raccontare per la prima volta la sua storia di ammalato Covid in un’intervista. Cosa ha provato in quel momento?
«Mi sono emozionato. E ho provato un senso di liberazione, mi sono levato un peso enorme. Non so perché, ma avevo bisogno di far uscire questa cosa, di metterci la faccia e di far capire che i malati di Covid non devono vergognarsi di niente. Per un periodo si è andati quasi a caccia dell’untore. Io leggevo commenti ed opinioni ed avevo un po’ di paura, perché si voleva trovare per forza un colpevole. Colpevole perché malato di Covid, che poteva diventare pericoloso. Ecco, perché ci ho messo la faccia, per far capire che non c’è niente di male: è capitato a me, ma poteva accadere a chiunque altro. Se ci si ammala, non bisogna vergognarsi, non bisogna prenderlo sottogamba e non bisogna abbassare la guardia».

Qual è stata la reazione di chi ha ascoltato la sua esperienza?
«Ho ricevuto delle testimonianze di affetto da tantissima gente. A Ceglie, e non solo, le persone hanno risposto in maniera eccezionale con affetto, vicinanza e solidarietà eccezionali. Una cosa bella, bella. E, secondo me, il messaggio che volevo mandare è stato colto». 

Se l’aspettava?
«Avevo molta paura di raccontare la mia storia. Quando mi è stato proposto di parlare, ho accettato, ma ad un certo punto ho pensato di lasciar perdere, perché ero molto angosciato. La notte precedente non ho dormito, per l’ansia e perché non potevo immaginare la reazione della gente, che invece è stata bellissima».

Cosa si sente di dire a chi si trova nella sua situazione?
«Non bisogna avere paura di dire “è toccato a me”. Il Covid bisogna affrontarlo, bisogna avere paura, perché bisogna avere paura, ma nello stesso tempo bisogna essere forti nel combatterlo, perché si può combattere. E si può combattere anche da casa, come accaduto a me. Io sono stato fortunato, perché sono stato seguito bene. Adesso in tanti dicono che il Covid si può sconfiggere pure a casa, a differenza di quello che si sosteneva prima quando c’era quasi l’obbligo del ricovero in ospedale. Gli ammalati di Covid non devono avere paura di uscire allo scoperto, non si devono vergognare di niente».

Nei giorni scorsi è stato invitato alla “Vita in diretta” su Rai 1.
«Quando mi ha chiamato la redazione ho pensato ad uno scherzo. Mi hanno detto di aver ascoltato l’intervista di sabato e di essersi emozionati. Il giornalista Alberto Matano mi ha proposto di portare la mia testimonianza, il mio messaggio. E poi sono stato inondato di messaggi di affetto da tutta Italia. Ho ricevuto più di 1200 messaggi di solidarietà e vicinanza: una cosa bellissima. Risponderò a tutti».    

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