Venerdì 20 Novembre 2015
Gli
Amici si vedono nel bisogno
Gli
avevano assegnato la stanza 76 del settimo e ultimo piano. In
ospedale c’era solo quel posto. Prendere o lasciare. Lui, però,
non lo sapeva almeno fino a quando si riebbe. Lo avevano strappato
alla morte quasi per miracolo, dopo quel tremendo incidente in
autostrada.
Ad
Alfonso, l’uomo dell’incidente, non piaceva fare troppe domande.
Al dottore, che ogni mattina lo visitava, non aveva chiesto neppure
cosa esattamente gli avesse procurato quel maledetto salto nel vuoto.
Aveva capito da solo che, almeno fino a quel momento, era legato al
suo letto d’ospedale.
Al
suo compagno di stanza, sistemato proprio sotto l’unica finestra
dalla quale si poteva guardare fuori, non aveva mai chiesto nulla.
Sapeva solo che era lì perché aveva scambiato una bottiglia di vino
per una di varichina. Ne aveva bevuto un lunghissimo sorso prima di
rendersi conto che qualcosa non era andata come doveva. Era
ricoverato da circa un mese e questo lo aveva letto sulla cartella
clinica quando, erroneamente, gliela avevano appoggiata proprio sotto
gli occhi.
Alfonso
se l’era vista proprio brutta. Ma lui non lo sapeva e non lo
avrebbe saputo mai se non glielo avesse voluto raccontare proprio il
suo compagno di stanza. L’uomo che aveva il privilegio di poter
guardare fuori. Cominciava ad essergli sempre più simpatico. Nei
giorni successivi al suo risveglio proprio non lo sopportava. Gli
dava sempre e solo le spalle. Lo sentiva commentare su questa o
quella passante, ma a lui che non poteva vedere, immobilizzato
com’era, non riferiva neanche i colori dei capelli, meno che meno
il volume delle loro rotondità.
Chissà
cosa avrebbe fatto, Alfonso, per sapere cosa stava succedendo fuori
da quel sempre più maledetto ospedale. Non gli restava, a quel
punto, che cominciare a chiedere. Una lunga decenza, qualche volta,
può cambiare le nostre abitudini. Alfonso cominciò a bersagliare di
domande il suo vicino di letto. Sempre con più insistenza. Sarebbe
andato lui alla finestra, senza chiedere. Non poteva. Proprio non
poteva.
«Dimmi
chi passa? Com’è? Alta, bassa, magra? Che fa? È quella di ieri?
Di che colore è la gonna? Gli occhi? I capelli?». Una
mitragliatrice. Un vulcano in eruzione. Domande su domande sul capo
sempre più stanco del degente con il letto sotto la finestra. Alle
prime domande aveva preferito non rispondere. O forse non poteva. Ma
lui, il povero Alfonso che non poteva lasciare il suo letto, era
diventato sempre più petulante, sempre più desideroso di sapere
cosa diavolo succedeva là fuori. Dimmi, cosa succede in questo
cavolo di paese. Ti prego racconta, racconta.
Il
compagno di stanza si allungò più che poteva verso la finestra.
Ripassò a memoria le tante domande che il povero Alfonso gli aveva
rovesciato addosso. Non sentì il bisogno di farsele rifare e
cominciò a raccontare, raccontare, raccontare, sempre con gli occhi
fissi alla finestra. Raccontava, la sera, fino ad addormentarsi, per
la gioia del suo amico Alfonso, l’uomo che non poteva lasciare il
suo letto.
Gli
amici si vedono nel bisogno.
Alfonso,
finalmente, sapeva giorno per giorno cosa succedeva là fuori.
L’amico di stanza aveva continuato a raccontargli tutto, proprio
tutto, con dovizie di particolari. Persino i colori, tutti i colori.
Fino
a quando i parenti dell’amico vennero a prenderselo. Gli tolsero il
pigiama. Lo rivestirono come fosse un bambino. Gli allacciarono
persino le scarpe. Dal suo armadietto tirarono fuori uno strano
bastone rosso e bianco. L’amico lo cercò a tentoni nel buio.
Finalmente lo afferrò, l’amico della sua cecità e lasciò che lo
accompagnassero fuori.
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