Domenica 14 Agosto 2016
IL TRENO DI NICOLA
Non di rado mi sorprendevo spesso a pensare
che se fossi nato asino, uno di quelli utilizzati dai nostri nonni per andare e
venire dai campi, avrebbero detto di me che andavo e venivo dal lavoro senza
bisogno di essere guidato. Le briglie, il mio padrone, le avrebbe lasciate
libere di pendere tra le stanghe del carretto.
Lasciamo stare gli asini e torniamo a me. Da
anni, ormai, andavo e venivo, in treno, da San Michele Piovano, paese nel quale
la mia ditta mi aveva destinato.
Quell’oretta sui binari non aveva più segreti.
Conoscevo a memoria tutti i passaggi a livello, le curve, gli alberi, le
fermate, quelle sicure e quelle occasionali. L’avvicendamento dei bigliettai e
dei capotreni lo anticipavo ai colleghi di viaggio, senza sbagliare mai un
colpo. Quando i conti non tornavano era perché loro avevano altre esigenze.
Alla stazione potevo permettermi di arrivare
pochi secondi prima dell’orario di partenza, tanto sapevo anche quale
macchinista spaccava il secondo e chi conduceva il suo treno normalmente in
ritardo. Le tratte casa - lavoro e lavoro - casa le avevo sulla punta delle
dita. Mi capitava anche di appisolarmi e di svegliarmi giusto appunto per
scendere dal treno. Soprattutto al ritorno.
Una sera ero particolarmente stanco.
Nell’ufficio un via vai che sembrava un porto e per tutte e sette le ore.
Neanche il tempo di un caffè. Succedeva.
Era il turno di Nicola, il capotreno che di
lavoro proprio non ne voleva sapere. Potevo sedermi qualche minuto. Il
calduccio della sala d’attesa mi accarezzava le palpebre. Una formichina,
chissà perché, faceva avanti e indietro, sempre sulle stesse mattonelle. Era un
piacere seguirla con gli occhi, avanti e indietro, avanti e indietro.
Nicola, con il suo maledetto treno, non
arrivava. Persi di vista la formichina. Il calore della stazione non era più
quella di prima. Forse si era bloccata la caldaia o l’avevano spenta per
economizzare. Sta di fatto che cominciavo ad aver freddo. Il capo, tra le mani,
diventava sempre più pesante e il treno ancora non si vedeva. Nicola, Nicola.
Qualcuno mi scrollò pesantemente: «Insomma,
casa, tu, non ne hai?». Casa? Io? E perché? E lui, il capostazione: «Ragazzo,
la stazione chiude, non puoi più stare qui». Come “chiude”? e Nicola? E il
treno?
Non sarebbe bello un treno turistico della Valle d' Itria? Come forma di turismo lento?
RispondiElimina