Caro Direttore,
alla fine del 2013 hai pubblicato, traendolo da Brindisi Report, una mia
nota di "taglio" giornalistico relativo al Disegno di Legge
17.12.2013, che introduceva la motivazione delle sentenze solo a richiesta di
parte e previo pagamento. Hai riprodotto l'intervento anche sul noto annuario
2013 di Cronache e Cronachette…
L'articolo, integrato e adeguato al tipo di Rivista, e che ti allego,
ha avuto risonanza nazionale essendo stato pubblicato dalla Rivista Gli
Oratori del Giorno, per le valutazioni critiche di natura
tecnico-giuridica in esso contenute sul Disegno di Legge e per il
richiamo da me solo fatto dei precedenti storici, con il commento
introduttivo del Direttore di quella Rivista, Avv. Titta Madìa jr..
Ti segnalo quanto innanzi per consentire agli osservatori del settore
e ai Tuoi lettori di sapere come è andata a finire (anche per
"calmare" le arrabbiature dell'Avv. Madìa, discendente di una
prestigiosa famiglia di Avvocati): nei giorni scorsi il nuovo Ministro di
Giustizia ha "ritirato" il Disegno di Legge!!!.
Cari Saluti.
Cosa si sono inventati per ridurre il carico di lavoro sui magistrati che sono tanto stanchi, perché lavorano indefessi, guadagnano due baiocchi e si sacrificano, eroici, per la comunità?
La motivazione delle sentenze
diventa un”optional” e, come l’aria condizionata o la vernice metallizzata, te
la devi pagare.
Ai tempi dei Borboni, vi dice il
“grande” Avvocato Conte, storico del diritto meridionale, già non era così e
l’obbligo della motivazione fu introdotto da questi monarchi assolutisti.
E noi che abbiamo reso un “optional”
che siamo?
Conte rispondi tu, che a me escono
solo parolacce!
Titta Madia jr
Sono rimasti in pochi quelli
che considerano retrograde e incivili le leggi borboniche, per molto tempo
sinonimo di arretratezza e incultura; da alcuni decenni ormai il luogo comune è
sconfessato, da storici del diritto (posso citare uno studioso e osservatore
straniero, autore della "Teorica del Codice Penale", trattato di
diritto comparato tradotto in italiano nel 1853, l'avvocato ai Consigli del Re
e alla Corte di Cassazione del Belgio, avvocato Adolfo Chauveau, secondo il
quale le leggi borboniche erano le migliori in Europa) e scrittori (posso citare
tra questi Leonardo Sciascia); prima ancora della codificazione
"francese" nel Mezzogiorno d'Italia del 1806 e quindi di quella
borbonica del 1819 dopo la Restaurazione, una legge "borbonica" del
1774, come ricorda anche Giuseppe Pisanelli nel breve trattato sui
"Progressi delle Leggi Civili in Italia" del 1871, introdusse
l'obbligo della motivazione delle sentenze, come segno di grande civiltà, volto
anche ad evitare gli abusi per le decisioni immotivate.
Dai Borboni alla
Costituzione repubblicana
La motivazione delle
sentenze, oltre a costituire un obbligo di legge di rango superiore, previsto
dalla Costituzione Italiana che all'art. 111, comma 6, stabilisce che
"tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati",
costituisce una conquista moderna di alta civiltà culturale, sociale e
giuridica: siccome le sentenze sono pronunciate "in nome del Popolo
Italiano" non solo le parti private interessate, ma anche la collettività
deve sapere perché Tizio o Caio sono stati assolti o condannato, perché Sempronio
o Mevio sono risultati vincitori o soccombenti nei giudizi, non solo per un
controllo endoprocessuale (attraverso i successivi gradi di giudizio) ma anche
per una verifica sociale.
Lo Schema di Disegno di
legge Delega varato dal governo il 17 dicembre 2013, recante “disposizioni per
l’efficienza del processo civile” ha eliminato al numero lett. b), comma 1
dell’art. 2, l’obbligo della motivazione imposto dalla Carta Fondamentale per
tutti i provvedimenti, introducendo la facoltà per le parti interessate, di
richiederla a pagamento (versando “una quota” del contributo unificato dovuto
per l'appello o il ricorso per cassazione anche se poi la sentenza non viene
impugnata).
Se qualcuno volesse
usare ancora il paradosso di "leggi borboniche" per le norme che
rivelano segno di inciviltà e arretratezza, l'occasione è fornita proprio da
questa "improvvida e illiberale" (per usare espressioni di Francesco
Carrara) previsione normativa, che non solo è gravemente "sospetta"
di incostituzionalità, ma compie passi indietro di oltre due secoli sul cammino
della civiltà, sociale e giuridica.
Finisce la
giurisprudenza
Senza la motivazione
delle sentenze non sarà più possibile formare una "giurisprudenza",
che spesso, con la creazione del "diritto vivente", anticipa
provvedimenti legislativi sulla tutela dei diritti (si pensi alla introduzione
appunto nel diritto vivente del danno biologico attraverso la giurisprudenza,
prima di merito e poi di legittimità e della Corte Costituzionale con la famosa
sentenza 14.7.1986, n. 164 frutto della speculazione giuridica del
"nostro" Renato Dell'Andro).
Possiamo considerarci
"fortunati" di vivere in un paese di civil law, perché se
fossimo in un paese di common law, come quelli anglosassoni, in cui
nei giudizi vale il precedente giurisprudenziale e non la codificazione, non
avremmo più un riferimento per le successive pronunce se non sulla base della
giurisprudenza fino ad ora formatasi, mentre è notoria la evoluzione delle
speculazioni interpretative che adeguano le valutazioni giuridiche alle nuove
situazioni di fatto riconoscendo nuovi diritti, personali e patrimoniali,
desumibili dall'Ordinamento Giuridico, che si formano nella evoluzione della
società, prima ancora che vengano normativamente riconosciuti.
Il diritto assoluto alla
motivazione
E, fatto ancora più
grave, la previsione normativa - adottata prescindendo dal parere
dell'Avvocatura che è sempre più unica portatrice e garante della tutela dei
diritti della collettività per il ruolo sociale che svolge come riconosciuto
dalla legge 31.12.2012, n. 247 sul nuovo Ordinamento professionale - che pone
un onere economico per ottenere l'affermazione di un diritto assoluto, quale
quello di conoscere le ragioni delle decisioni giudiziali, dovrebbe avere lo
scopo di accelerare l'esito dei giudizi con pronunce senza motivazione, rimesse
all'arbitrio del giudice, privando le parti interessate e il Popolo Italiano di
un diritto fondamentale, riconosciuto espressamente dalla Costituzione
Italiana, e desumibile dai principi fondanti della Dichiarazione Universale dei
Diritti dell'Uomo" del 10 dicembre 1948 e dalla Convenzione per la
Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali approvata in
Italia il 4 novembre 1950.
Anche grave, e
corollario della precedente, è la previsione normativa contenuta nel n. 2),
lett. b), secondo la quale la motivazione dei provvedimenti che definiscono il
giudizio in grado di appello possa consistere nel richiamo della motivazione
della sentenza impugnabile, non solo perché la sentenza di primo grado può
essere priva di motivazione, ma anche perché si aggiunge al “nulla un altro
“nulla”.
Negli operatori del
diritto il sospetto che si stava giungendo a questo risultato era stato
percepito nei piccoli passi che si stavano compiendo, con i quali già era stata
prevista la "motivazione succinta".
Non è questo né il
momento né lo spazio di discussione: ma è certo che non è percorrendo questa
strada che si risolvono i problemi della giustizia per i quali, almeno per una
volta, sarebbe opportuno consultare le rappresentanze istituzionali e
associative dell'Avvocatura, che vivono nelle "trincee" dell'umanità
forense.
Avv. Augusto Conte –
RIVISTA “GLI ORATORI DEL GIORNO”
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