MARTEDI' 29 LUGLIO 2014
SANT'ALFONSO DE' LIGUORI
di Avv. Augusto Conte
Un Avvocato-Santo
è un autentico partenopeo (di origini materne pugliesi): Sant'Alfonso Maria dei
Liguori, nato a Marianella di Napoli il 27 settembre 1696 e morto,
novantunenne, il 2 agosto 1787, il grande filosofo del secolo “dei lumi”; era
figlio di Giuseppe Liguori e Anna Maria Caterina Cavalieri, originaria della
provincia di Brindisi.
Le discussioni,
mediche, giuridiche e filosofiche, sulle problematiche giudiziarie
testimoniava la grande attenzione sulla amministrazione della giustizia nel
secolo dei lumi, in cui si affacciava e propugnava l’idea liberale del giudice
“persona pubblica” propria di una società che si andava organizzando sulla base
democratica di poteri divisi, per cui la giustizia non era più soltanto un
fatto privato e personale, ma pubblico e sociale, appartenente a tutti, e il
giudice esercitava una funzione, di servizio e libera, autonoma da altri poteri
privati e pubblici; mentre la difesa, anche attraverso la sottrazione
dell’innocente alla pena ingiusta, costituiva razionale garanzia anche di
fronte ai rigori della norma di legge.
Proprio in quegli
anni Sant’Alfonso dè Liguori, Avvocato e poi Giudice, pubblicava la Theologia
Moralis (Napoli 1757) e qualche anno dopo (1764) opere sullo stato e uffici di
alcune persone contenenti specifici capi “Dè giudici e degli scrivani”; “Degli
Avvocati e procuratori”; “Dell’accusatore, dè testimoni e del reo”.
Circa il giudice
riteneva Alfonso dè Liguori che non può condannare senza che vi sia un
accusatore, tranne che il reo sia “confesso in giudizio avanti a due testimoni,
o pure se il delitto fosse notorio o ve ne fosse fama pubblica, contestato
almeno per due testimoni”. E se il giudice sa privatamente che l’imputato è
responsabile, ma è giuridicamente provato innocente, non può condannarlo in
quanto essendo “il giudice persona pubblica, dev’egli procedere secundum allegata et probata, cioè
secondo la pubblica scienza che si ha della causa”.
“Se la causa poi è
criminale, sempre dee favorirsi il reo quando vi sono ragioni probabili in sua
difesa. Nelle cause civili il giudice deve favorire il possessore se le ragioni
sono uguali”.
Quanto agli
Avvocati “…..nelle cause criminali l’avvocato può difendere i rei anche
colpevoli, perché il reo sempre può lecitamente procurare di evitar la sua pena
finchè non è condannato”.
Alfonso dettava
anche le regole morali dell’Avvocato (Decalogo dell'Avvocato, contenente
principi tuttora validi di deontologia professionale) ricordando il divieto del
patto di quota lite; il dovere di competenza, che faceva divieto all’Avvocato
di prendere cause superiori “ai suoi talenti”; il dovere di segretezza che
vietava di rivelare alla parte avversa i segreti dell’assistito; il divieto di
servirsi di “cavillazioni o dilazioni incompetenti”; il dovere di diligenza,
fedeltà e, soprattutto, di verità.
Per gli accusatori
Alfonso ricordava che se si trattava di evitare danno comune ciascuno era
tenuto ad accusare “il delinquente”.
Particolare era
l’etica del testimone; secondo Alfonso (che riprendeva San Tommaso) “il
testimone” non è tenuto a palesar la verità, se non quando è necessario per
riparare secondo la carità qualche gran male della repubblica o del prossimo, o
per ubbidire al precetto del giudice che legittimamente interroga, cioè colla
prova semipiena della pubblicità del delitto, o d’indizi evidenti etc.,
altrimenti non è tenuto il testimone a deporre quel che sa. Come anche non è
tenuto, quando v’è danno proprio o dè suoi, o quando sa il fatto sotto segreto
naturale”.
Alfonso dè Liguori
riteneva lecita la fuga del reo condannato ingiustamente per sottrarsi alla
pena di galea o di flagellazione o di carcere perpetua; essendo lecito al reo
di fuggire “…..è lecito ancora agli altri il somministragli le funi, le lime, o
altri stromenti”.
Il reo non era
tenuto a confessare il suo delitto se non fosse legittimamente interrogato dal
giudice, “cioè quando almeno v’è la prova semipiena” (il reo possiede il jus
alla sua vita o fama); un grave interrogativo si poneva sulle confessioni rese
da innocenti per “evitare un gravissimo tormento” (la “pratica criminale del
1700 prevedeva la tortura); Alfonso lo risolveva osservando che la legge umana
è troppo dura e quindi non v’è obbligo per il reo di condannare sé stesso.
Alfonso con i suoi
principi morali costruiva un ethos di tolleranza, lontana dalla
idolatria della legge che costituiva un bene necessario, ma provvisorio e non
assoluto; il sistema era imperniato su una morale fondata sulla libertà e sulla
coscienza che “difende l’uomo dalla legge”: affermava, infatti che la legge è
fatta per l'uomo e non l'uomo per la legge.
E' considerato il
patrono ufficiale degli Avvocati italiani, perché è l'unico Avvocato il quale
abbia al suo attivo un abituale, regolare esercizio forense, mercé debita iscrizione
nell'Albo, con numerosa, ricca clientela, e con giovanile rinomanza.
Si può ricordare
l'Avvocato Alfonso dei Liguori a traverso i rapidi cenni di un apologeta
francese: “Quando a sedici anni (21 gennaio 1713) – per un favore insolito – il
giovane Liguori fu ammesso a subire le prove del dottorato, egli aveva ancora
la statura e l'aspetto di un fanciullo. Più tardi, senza ricordare il suo
successo, che aveva prodotto grande impressione, e di cui si parlò per molto
tempo, rideva ancora dello spettacolo buffo che si rammentava di aver dato
allora: <Mi avevano imbacuccato in una lunga casacca, che mi arrivava sotto
ai piedi, e che faceva ridere tutti.>”
Ma era una prova
di grande abilità, a cui non si poteva giungere senza un lavoro accanito,
conoscere interamente a quell'età il diritto civile, il diritto canonico, in un
paese in cui si ingarbugliavano i monumenti giuridici di tante dominazioni
successive.
Durante la sua
carriera di Avvocato, dal 1715 al 1723, Liguori difese molte cause e non perdé
che l'ultima. Prendeva gusto alla sua professione e, specialmente nei primi
tempi, amava discutere la sera presso il Presidente Domenico Caravita, alcuni
punti di diritto con i suoi giovani Colleghi.
Era un giurista
molto abile, che – forse – si ritroverà un poco nel teologo morale. “La sua
parola chiara, precisa, la sua diligenza al lavoro, la sua estrema delicatezza,
il credito della sua nobile famiglia e dei suoi amici gli valsero ben presto
una grande autorità.”
Non ostante i
precetti del suo Decalogo, Sant'Alfonso perdé l'ultima causa per una grossa
negligenza ed imperizia, che deviò fatalmente il corso della sua professione,
votando il giurista al sacerdozio e – poi – alle sfere celestiali.
Il 23 ottobre
1723, Alfonso dei Liguori deponeva per sempre l'onorata sua toga di Avvocato,
varcando la soglia del sacerdozio ove – per 64 anni – edificò tutti con le sue
opere di bene e con altro sapere (era anche scrittore e musicista: sue sono le
nenie natalizie, musicate e scritte in lingua napoletana e in italiano, come le
intramontabili “Tu scendi dalle Stelle” e “Quanne nascette ninne”); fu Vescovo
di Sant'Agata dei Goti. La Chiesa ne ha fatto meritatamente un Gran Santo.
Il suo busto,
unico in oro tra i tanti in marmo di Avvocati del Foro napoletano, è collocato
al centro nella parete di destra nel Salone dei Busti di Castelcapuano,
glorioso Palazzo di Giustizia di Napoli, ove egli difendeva le cause.
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