Giovedì 9 settembre 2021
A cura dell'Avv. Augusto Conte
I PROCESSI A ALIGHIERI DURANTE (detto DANTE) (Firenze, tra il 22.5 e il 21.6.1265-Ravenna, notte tra il 13 e il 14.9.1321), E AI FIGLI ALIGHIERI GIOVANNI, PIETRO, JACOPO E ANTONIA E LE SENTENZE DI CONDANNA DEL 27.1.1302 E DEL 10.3.1302, DEL 15.10.1315 E DEL 6.11.1315, AI SENSI DEGLI ARTT. 568, 629, 630, COMMA 1, LETT. C), 632 CODICE DI PROCEDURA PENALE SARANNO OGGETTO DI REVISIONE.
Il POETA e le Sue opere sono stati
universalmente studiati da letterati, filosofi, religiosi e molto meno da
GIURISTI, anche se dalle sentenze si possono trarre significati su vita e
opere; paradossalmente senza le condanne probabilmente non si sarebbero avute
la Commedia, il De Monarchia e altro e Dante sarebbe rimasto uno dei Poeti
“Fedeli d’Amore” come Guido Cavalcanti e Cino da Pistoia.
Nel primo processo ad ALIGHIERI DANTE e altri
tre, Messer Palmieri degli Altoviti, Lippo Becchi, Orlanduccio Orlando le
imputazioni contestate agli imputati riguardavano reati di baratteria, illeciti
lucri, inique estorsioni di denaro, speculazioni edilizie, ricezione o promesse
di denaro o altre utilità per orientare la elezione di Priori e Gonfaloneri e,
in particolare di aver commesso, nelle qualità di membri del Consiglio del
Popolo, dei Savi, dei Priori, del Consiglio dei Cento, nel corso dell'esercizio
del pubblico ufficio fatti illeciti falsificando o facendo falsificare libri
contabili di commercianti (baractarias, lucra illecita, iniqua extortiones in
pecunia vel in rebus). Altre contestazioni riguardavano l'avere sostenuto spese
contro il Pontefice e contro Carlo di Valois, per impedirne l'intervento
pacificatorio in Firenze; avere influito sulle elezioni in Pistoia per far
eleggere partigiani contrari ai Guelfi Neri in modo da distaccare Pistoia da
Firenze.
Con la sentenza penale del 27.1.1302,
pronunciata da Messer Cante dei Gabrielli da Gubbio Podestà di Firenze, gli
imputati furono condannati alla restituzione di libbre 5.000 fiorini, di quanto
illegalmente percepito ed estorto, nel termine di tre giorni, pena la confisca
di tutti i beni e la perdita dell'accesso ai pubblici uffici.
I fatti addebitati non risultano accertati e
stabiliti nelle forme di legge, avendo la sentenza fatto riferimento a
"fama pubblica referente" e sulla presunzione di responsabilità
derivante dalla contumacia, illegalmente dichiarata perché il termine di
regolamento prevedeva per l'adempimento quaranta giorni e comunque perché Dante
era in missione diplomatica a Roma per conto del Comune di Firenze presso
Bonifacio VIII.
Con la sentenza 10.3.1302, non avendo
ottemperato alla decisione, Dante, i tre coimputati e altre 11 imputati in
procedimenti connessi e riuniti, non essendo comparsi all'annuncio del
banditore, vennero condannati dallo stesso Podestà alla condanna a morte sul
rogo (igne comburatur sic quod moriatur).
Le successive sentenze di condanna per Dante e
per i figli Giovanni, Pietro, Jacopo, e Antonia furono pronunciate per avere
complottato durante l'esilio, come ghibellini e ribelli contro Firenze perché
fosse conquistata da Enrico VII; con la sentenza 15.10.1315 gli imputati furono
condannati in contumacia dal Tribunale sedente nel Palladio del Comune di
Firenze, presieduto da Raynerio di Zaccaria da Urbeveteri (Orvieto), a morte
mediante decapitazione (forum caput a spatulis amputetur ita quod penitus
moriantur), alla confisca e alla distruzione dei beni. Con la Sentenza
6.11.1215, i condannati furono definitivamente banditi da Firenze.
Il processo di revisione ha la finalità di
contribuire alla riformulazione storiografica degli eventi connessi ai fatti
che portarono alla pronuncia delle sentenze, non solo per verificare la
legittimità delle decisioni nella forma e nella sostanza, anche in riferimento
alla mancanza di prove e al fondamento della condanna sulla voce pubblica, ma
per ristabilire il ruolo "politico" di Dante e le sue scelte
politiche ed economiche, non avendo auspicato la perdita della autonomia del
Comune di Firenze, al quale, secondo il suo convincimento, l'Impero di Enrico
VII avrebbe riportato pace, escludendo il potere temporale dei Papi, ai quali
spettava solo quello spirituale, senza egemonia o subordinazione dell'una
"spada" all'altra e, per Firenze, avendo aspirato a porre fine al
conflitto tra Guelfi e Ghibellini, e in particolare tra Guelfi Neri, fautori di
una politica conservatrice e aristocratica, facenti capo a Corso Donati, e
Guelfi Bianchi, fautori di una politica popolare che facevano riferimento a
Vieri dè Cerchi.
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