SABATO 14 SETTEMBRE 2013
La notizia è rimbalzata in paese questi giorni, ma lei è venuta a mancare il 3 settembre scorso. Tante generazioni sono
passate da quella scuola dell'infanzia... chi non può non ricordare SUOR LINA?... Io ero
residente in zona e durante il giorno la incontravo tantissime volte... noi ragazzini giocavamo nei paraggi e Suor Lina ci monitorava dal balcone dell'istituto e alcune volte, i nostri palloni non facevano più ritorno... eravamo un po' monelli...
In sua memoria riprendo
un articolo di Angelo Palma, pubblicato da IDEA NEWS di Ceglie Messapica, nel
mese di agosto del 2004.
La scuola elementare di Suor Arsenia
Legenda foto (da sinistra)
Suor Amelia, Suor Arsenia
1° fila in alto: Ina Gallone, Mariligia Argentiero, Mimmetta Gatti, Sara Elia,
Grazia Pia Gallone, Antonietta Ciracì
fila centrale: Loretta Gianfreda, Sisto, Giacomina Erriquez, Elvira Scatigna,
Vincenzina Argentiero
1° fila in basso: Lillino Palma, Michele Epicolo, Pinuccio Barletta, Piero Aversa,
Donato Magno, Carlo Pepe, Oronzino Semeraro
Fino al 1954, a
Ceglie, esisteva soltanto una scuola elementare privata,
quella delle Suore Domenicane in Via XX settembre. Le altre erano
dei doposcuola.
Nell’ottobre del 1954,
le Discepole di Gesù Eucaristico aprirono la seconda scuola elementare privata
nella parte vecchia del paese, in Via Paolo
Chirulli. Erano a Ceglie già dal 1948. Appartenevano ad un ordine
fondato nel 1923 da Raffaello Delle Nocche, nativo di Marano di
Napoli, vescovo di Tricarico.
La
scuola fu costituita accogliendo fanciulli provenienti, in
parte, dall’asilo delle Domenicane ma, soprattutto, dalla
scuola materna di Suor Lina.
Questa suora, nata a
Manfredonia con il nome di Antonietta Notarangelo, era a
Ceglie, presso l’Istituto Gesù Eucaristico, già dal 1950.
Appariva come una persona dolce, con il sorriso sulle labbra, che
dava molto spazio al gioco e alla creatività.
L’inizio
delle elementari rappresentò per noi il passaggio dalla
dolcezza e dal sorriso alla durezza e alla severità. Erano queste alcune
caratteristiche di Suor Arsenia, Anita Spano, trentottenne, nativa di Gallipoli
e leccese di adozione: la nostra insegnante. Piccola di statura, fisico
asciutto, colorito scuro, un neo evidente sulla guancia, aveva un
alto concetto della disciplina e dell’ordine, ma era anche dotata di un’ottima
preparazione e una buona capacità didattica.
Adottava un elevato
rigore con coloro i quali non rispettavano le regole.
Chi disegnava durante le spiegazioni era privato del
proprio album. Requisiva penne a biro e gomme da
inchiostro, perché proibite. Adoperava il peperoncino per dissuadere dal
portare alla bocca l’asta delle penne. Spesso espelleva dall’aula.
Schiaffi, digiuni, ceci sotto le ginocchia erano le punizioni più forti. Per i
più ribelli usava, addirittura, la cinghia.
Già a quei tempi, tanta
severità era considerata, da alcuni, discutibile. Oggi lascerebbe
sconcertati. Ma Suor Arsenia va capita: quelli erano, infatti,
i metodi educativi di allora, apprezzati, a fin di bene, da molti
genitori.
D’altra parte ella si
applicava molto nell’insegnamento. Ci teneva affinché scrivessimo in bella
grafia, con l’inchiostro. Ci addestrava a comporre in forma corretta
e scorrevole. I temi dovevano essere ricchi di idee e privi di
banalità. Approfondiva particolarmente la storia e la geografia con
confronti e considerazioni. I problemi di aritmetica erano
un’occasione per imparare a ragionare. I disegni si rappresentavano
con gusto e aderenza alla realtà.
Si studiava molto. Si
iniziava dalle otto e mezza del mattino, dopo una breve preghiera, e si finiva
alle cinque del pomeriggio. Si facevano poche pause, ad eccezione
dell’intervallo per il pranzo. A casa poi si dovevano svolgere
altri compiti. Chi non studiava era trattenuto fino a tardi per
recuperare.
I voti non erano mai
alti, tranne agli esami, a cadenza annuale.
Il calendario scolastico
era severamente rispettato, senza deroghe. Non faceva
eccezione nemmeno un sacramento come la Prima Comunione, particolarmente
importante per l’Ordine. Ne ricordiamo la data: 16 giugno
del 1956, alcuni giorni dopo gli esami.
Questi sacrifici diedero
i loro risultati. Alle medie il confronto, con coloro
che provenivano da altre scuole, era mediamente a nostro favore. Per
merito di Suor Arsenia, avevamo
una buona preparazione
e un profondo senso del dovere.
Eravamo una classe mista
di venti allievi in prima e di una quindicina negli anni successivi,
con prevalenza femminile nei primi due anni e maschile negli ultimi
tre. La nostra data di nascita si collocava tra il 1947 ed il 1949,
anno degli anticipatari.
Mista era anche la
condizione sociale ed economica delle nostre famiglie, che si manifestava in
maniera marcata, tra l’altro, nel vestire e nella pulizia. Le suore
ne tenevano conto. Facevano pagare la retta in maniera diversa. Trattenevano a
pranzo i più bisognosi. Distribuivano quanto arrivava dagli Stati Uniti, come
“dono del popolo americano”.
Tutti indossavamo un
grembiule nero e un colletto inamidato bianco: gli stessi colori
dell’abbigliamento delle suore. Le femminucce portavano un fiocco
bianco sulla sommità della testa o all’attaccatura delle
trecce e del codino.
Facevamo lezione
in un’aula che non dava sulla strada. Prendeva luce dall’alto e da una veranda
laterale. Comunicava con un ambiente buio, adiacente agli appartamenti delle
suore e alla cappella in penombra, luogo dei ritiri spirituali.
Il ricordo più lontano
risale ai primi giorni di scuola. Francuccio Mastro era il più
piccolo della classe. Non si adattava al brusco passaggio alla severità. Perciò
fingeva di addormentarsi per impietosire Suor Arsenia e ottenere di poter
ritornare all’asilo. Dopo vari tentativi, riuscì nel suo
intento. Oggi vive a Roma ed è dirigente di banca.
Un pensiero particolare
va alla breve permanenza di Lillino. Egli era affetto
da disturbi motori, ma riusciva a socializzare con tutti.
Non ci sono ricordi di
coloro che andarono via alla fine del primo anno: Donato Magno, ora
dentista a Bisceglie; Carlo Pepe, dirigente di banca; Loretta Gianfreda,
maestra; Antonietta Ciracì, professoressa di lettere, ed una
certa Sisto, della quale si sono perse le tracce.
C’era un fanciullo dal
colorito molto scuro, che si iscrisse in seconda, Emanuele Balestra.
Era uno degli otto figli del fruttivendolo Giuseppe di Fontana (Pepp’ d’
‘Ntan’). Non studiava, ma riusciva ad essere bravo in aritmetica. Attualmente vive
a Milano.
Molta timidezza
manifestava Adolfo Allegretti, ultimo di una famiglia numerosa: “gli Allegretti
Minori”. Era premurosamente interrogato sulla colazione del mattino,
perché era molto magro. Aveva iniziato a frequentare dal terzo anno, insieme con
Giuseppe Chirico. Entrambi sono professori di matematica.
Le recite, i canti, i
cartelloni colorati alle pareti, i formaggini gialli nel refettorio sono i
lieti ricordi di Elvira Scatigna, dalle lunghe trecce e
dal comportamento gentile, oggi professoressa di lettere. Ella
frequentò, insieme con noi, i primi due anni. Poi passò alla scuola
delle Domenicane, più vicina alla casa
dove si era trasferita la sua famiglia..
L’unico forestiero
era Tommaso Villani, nativo di Ruvo di Puglia, figlio di
un panettiere che aveva trovato lavoro presso il forno di Angelo
Argentiero (Angiulin’ a Spagnol’). Egli si era unito a noi, a cominciare dalla
terza. Lavora a Milano come autotrasportatore.
Brillante e notevolmente
estroversa era Mariligia Argentiero. Amava molto scrivere e soprattutto
disegnare. Intollerante nei confronti della severità di Suor
Arsenia, preferì completare la quarta e la quinta presso le scuole
pubbliche. E’ architetto. Insegna storia dell’arte presso il Liceo
Ripetta di Roma e collabora con l’Università della terza età
Unisped, sempre a Roma.
I modelli, che disegnava
Mariligia, si ispiravano ai disegni di Giacomina Erriquez, dai capelli molto
chiari, anche lei fantasiosa. E’ professoressa di lettere. Con
Giacomina si apre il gruppo di coloro che frequentarono per
intero il corso tenuto da Suor Arsenia.
Dopo di lei viene in
mente, per la sua bravura, Mimmetta Gatti, figlia del poeta
dialettale Pietro e professoressa di lettere. Un giorno ebbe un
castigo per essere caduta con sedia,
tavolino e inchiostro, mentre mostrava compiaciuta le
scarpe nuove a Piero Aversa. Piero, dirigente
dell’Alitalia a Roma, era un fanciullo tranquillo e ordinato, dai capelli lisci
e biondi e le orecchie a sventola. Il padre era vice sindaco. Il
fratellino Roccuccio veniva spesso a trovarlo per le caramelle.
I più spiritosi e
irrequieti erano Pinuccio Barletta, Michele Epicoco, Oronzino Semeraro ed
Emanuele Balestra, già nominato, i quali studiavano poco e ne combinavano
tante: si ricorda l’episodio di Pinuccio che mise nel calamaio le trecce di
Sara Elia. Sara era la figlia di Ambrogio, che faceva il carpentiere
per carri, mestiere antico e romantico. Ella ricorda il terrore per
i problemi di aritmetica e la gioia per uno spettacolo di tarantella, molto
riuscito e fotografato. Oggi è insegnante. Pinuccio fa l’assicuratore a Milano
e Michele è andato in pensione da dipendente Enel. Oronzino era
vigile urbano; purtroppo, ci ha lasciati.
Pensando ad Oronzino,
torna alla memoria la figura di Grazia Pia Gallone, dai
capelli nerissimi e ricci, timida e chiusa nei primi anni e progressivamente
espansiva in quelli successivi. Amava suonare il piano. Durante i giochi si
affaticava molto a causa di una malformazione cardiaca. Era molto religiosa.
Desiderava farsi suora, ma non ne ebbe il tempo, perché a undici anni fu
chiamata in cielo.
Ina Gallone, dal viso
tondo e dai grandi occhi, era forse la più buona ma la più incompresa da Suor
Arsenia. E’ insegnante di scuola materna. La ringraziamo
per aver trovato la fotografia di gruppo, a fianco pubblicata.
Penultima
del gruppo è Vincenzina Argentiero, la figlia del proprietario del forno, di
cui si è parlato prima, e di una antica salumeria dal fascino
particolare, in piazza S. Antonio. Era la più alta di tutti, portava
delle trecce lunghissime e la frangetta sulla fronte. Ha sempre dimostrato
particolare bravura. Oggi insegna presso l’Università di Padova e
svolge attività di neurologa presso la clinica associata alla stessa
Università.
Alla fine di questa
panoramica, devo scrivere qualcosa su me stesso. Il mio diminutivo è Lillino.
Mio padre, prima di mandarmi a scuola presso le suore, dovette
vincere il proprio risentimento verso il mondo ecclesiastico. Era la
conseguenza di alcune vicissitudini di un nostro cugino sacerdote.
Fu persuaso dalla dolcezza di Suor Lina, dalle informazioni assunte sulle
capacità di Suor Arsenia e dalla mia ferma determinazione. Frequentai la prima
fino a Pasqua. Poi mi assentai, perché mio padre mi volle
con sé, a Roma, poiché temeva di morire per un infarto
subito. Perciò non sono presente nella versione originaria della foto di
gruppo; la mia immagine è stata aggiunta dopo. Fui ammesso in seconda a
conclusione di un corso di recupero, tenuto da Suor Arsenia, che ringrazio
tuttora.
Ero figlio unico, dopo
la morte di mia sorella Grazia, venuta alla luce anni prima di me. Per il tipo
di educazione, ero molto timido. Apparivo un po’ restio a giocare con gli
altri. Quando svolgevo i temi ero molto frenato dal timore di dire banalità.
Soprattutto avevo terrore dei cani. Ne incontravo molti sul cammino
da casa a scuola, quello che percorrevo quattro volte al giorno. Sembrava che
conoscessero gli orari e mi attendessero determinati a sbarrarmi la strada. In
realtà erano dei piccoli e innocui cagnolini che abbaiavano
soltanto.
Di quel periodo, tanto
lontano, mia madre ha conservato la cartella di cartone pressato,
le pagelle, la locandina della prima comunione e addirittura “ il
panierino “ dell’asilo.
Come
molti sanno, svolgo da ventotto anni
l’attività di ingegnere e, da gennaio 2000, quella di
direttore presso uno stabilimento di gas, a Brindisi.
Terminato
il nostro corso, Suor Arsenia insegnò ad altri allievi. Poi ricoprì
per sei anni, fino al 1971, l’incarico di superiora a Ceglie e successivamente
presso l’Istituto di Marano di Napoli, casa natale del fondatore
dell’Ordine. E in quella dimora, alla veneranda età di ottantotto
anni, forse leggerà questo articolo.
Suor
Lina lasciò Ceglie, dopo quarant’anni di permanenza, nel 1990, al momento della
chiusura della Casa di Ceglie vecchia. Ormai ottantenne,
vive nella Casa di S. Severo.
Suor
Amelia, la superiora del tempo, è morta.
A
suor Arsenia e suor Lina, i più cari saluti ed i migliori auguri, da
parte di tutti. A suor Anna Teresa, superiora presso Villa Aurora, un grazie
per le informazioni ricevute e un
caloroso saluto.
Angelo
Palma
Ma che bella storia di vita, grazie Angelo Palma.
RispondiEliminadavvero una bella storia.Purtroppo non credo che i bambini di oggi conserveranno più ricordi così emozionanti.Forse bisognerebbe ritornare un pò a quei metodi educativi,discutibili,ma validi.Un rimprovero o un sano ceffone al momento giusto non hanno mai fatto male.Dovrebbero impararlo molti genitori di oggi che hanno paura anche di dire "a" ai propri figli facendoli crescere nella più completa maleducazione.
EliminaBellissimo questo articolo,anch'io ho frequentato quella scuola 30 anni fa.
RispondiEliminaTanti ricordi...alle suore si erano aggiunte le maestre.La mia era Grazia Scatigna e Sara Elia,ricordata sopra,aveva un'altra classe.Tra le suore c'erano Suor Giacomina e Suor Rosilde.
E poi la bidella mitica Nenetta, sempre pronta a sistemare il fiocco e il grembiule a noi tutti.
Grazie per aver fatto riaffiorare questa bella storia.Credo che per un attimo il nostro Istituto,ormai abbandonato, abbia avuto un sussulto di vita.
@
Una grande emozione per una lettura che mi ha fatto rivivere alcuni
RispondiEliminamomenti dell' infanzia trascorsi come alunno di Suor Lina e Suor Arsenia. Grazie.