Visualizzazioni totali

I Racconti di Damiano Leo

Lunedì 4 Luglio 2016.


IL TOPO E LA GATTINA 

  Aveva girovagato tutto il giorno, fino a che il buio si era impadronito di ogni cosa. La gattina, comunque, aveva seguitato a cercare la via di casa. Invano, almeno fino a quel momento. Forse, la sua padroncina, aveva cominciato a cercarla, a chiamarla per nome, di qua e di là, trascinandosi dietro mamma e papà, vista l’ora tardi. Prima o poi, la gattina ne era sicura, l’avrebbero trovata e sarebbe finita, come spesso accedeva, tra le braccia amorevoli di Filomena, la sua padroncina.
  Intanto continuava a cercare e nei suoi occhi, sempre più stanchi, non si specchiava  casa.
  Si era infilato un lungo viale costeggiato da siepi. L’umidità della notte, che continuava imperterrita ad avanzare, stava inzuppando tronchi e foglie. Insieme luccicavano confondendo i margini della strada. Alla gattina parve che tutto, piano, si stesse immergendo in un'immensa bolla di sapone. Tutto le sembrò tremendamente nuovo e inesplorato. Le zampette scivolavano pigramente sull’asfalto e, di tanto in tanto, sconfinavano a caso tra la vegetazione circostante.
  Aveva, la gattina, un corpicino agile e flessibile, nonostante la tenera età. Normalmente trascorreva il suo tempo alternando grandi salti a frequenti arrampicate, servendosi di affilatissime unghie protrattili. Buio e stanchezza le impedivano di muoversi come sempre.
  Sentiva il fruscio delle foglie. L’alitare sinistro del vento. Lo squittire, disperato, di un roditore. Il gracidare lontano di una rana.
  Improvvisamente vide qualcosa strisciare sotto al groviglio di quei rami che le sfioravano il muso. Si fermò di botto. Piantò con forza tutte e quattro le zampe sul terreno. Miagolò come se volesse intimare l’altolà. Rispose un movimento di foglie.
  Dalla siepe sbucò fuori un corpicino lungo poco più di venti centimetri. Pelo corto e lucente. Doveva pesare più o meno quaranta grammi. Il colore non le era ben chiaro, ma doveva essere di un marrone - brunastro chiaro. La gattina dilatò gli occhi in modo spropositato. Incrociò quelli dell’animale apparso innanzi ad essa. Riconobbe zampe, orecchie arrotondate, coda, la testa dalla forma allungata e punta del naso. Temporeggiò qualche secondo sulla bocca delimitata da due labbra. Si passò velocemente una zampa sul capo identificando due grossi incisivi.
  Il roditore, come la gattina, trattenne il respiro. Ingigantì gli occhi sotto le palpebre. Sfoderò gli artigli dalle quattro dita di tutte le zampe. Squittì ripetutamente.
  La gattina fissò l’animale. Premette sulle zampe posteriori, più lunghe di quelle anteriori. Sfoderò anch’essa si suoi artigli. Orientò i padiglioni auricolari. Tirò indietro le orecchie e tese smisuratamente i baffi. Per incutere paura al roditore che la stava studiando fece una gobba e rizzò il pelo. Voleva apparire più grossa.
  La siepe proteggeva ancora il roditore. L’attesa per un salto sembrò conclusa. Scivolò lentamente in avanti, attento a non destare sospetti. La gattina ancora lo stava studiando. Poteva saltargli addosso, se non voleva essere morsa. Lo fece. La gattina indietreggiò premendo sulle zampe posteriori. Svirgolò su un fianco. Il roditore cadde nel vuoto. Zampe al cielo.
  Toccava alla gattina. Ringhiò contro l’avversario che intanto si era rimesso sulle zampe. Agitò la coda ritmicamente. La sbatté con una certa forza da un lato all’altro. Mostrò tutto il suo nervosismo. Si trasformò presto in aggressività. Soffiò e sputò per intimorire il roditore. S’immobilizzò premendo sulle quattro zampe. Attese. Studiò.
  L’immobilità del topo selvatico, sbucato dalla siepe, caricò la gattina. Stanca ma decisa a farla finita con il suo avversario. Emise un ringhio di tonalità bassa e profonda. Saettò. Due artigli sfiorarono il roditore.
  Dal pelo corto e lucente schizzò via qualche goccia di sangue. Il dolore raddoppiò le forze del malcapitato. Il topo squittì nervosamente. Sgranò gli occhi ancora di più. Spalancò la bocca mostrando due grossi incisivi. Mirò la gattina e le saltò con tutto il corpo sulla gola. Affondò gli incisi. Riassestò lo stesso colpo nello stesso buco. Nella gola della gattina gorgogliò qualcosa di profondo e denso. Aveva trovato la vena.
  La gattina s’acquattò di botto. Miagolò come per chiamare aiuto. S’arrese per sempre.
  Il topo selvatico sparì nella siepe. Vincitore. Per una volta.

1 commento:

  1. Per non permettere ai topi di campagna di diventare pantegane bisogna fare periodicamente una seria prevenzione.

    RispondiElimina