Domenica 31 Luglio 2016
GIÙ NEL BURRONE
Lo avevano avvisato
quando forse non c’era più nella da fare. Per non dargli preoccupazioni. Non
serviva a nessuno fasciarsi la testa prima di rompersela e Gennarino, per
meglio rendere negli studi, doveva essere lasciato in pace. Almeno finché si
poteva, ma, in quella circostanza, proprio non si poteva. Suo padre versava in
gravi condizione di vita.
“Corri”, gli aveva detto sua madre al telefono
e aveva aggiunto “se ci tieni a vederlo ancora, tuo padre”. Certo che ci
teneva. Come potevano pensare diversamente?
Riempì a casaccio il primo zaino che gli
capitò sotto mano e si chiuse la porta alle spalle. Ignorò volutamente il
portinaio che lo salutava, per non perdere tempo. Doveva raggiungere la
stazione prima possibile. Un treno, a quell’ora, poteva ancora esserci. Forse
l’ultimo della giornata. Non perderlo avrebbe significato essere a casa nella
prima mattinata. Cioè prima possibile e suo padre sarebbe stato ben felice.
Felice, in verità, sarebbe stato anche lui. Ma
quando Gennarino fu ai binari il capostazione gli disse che l’ultimo treno era
appena partito. Accidenti! E poi accidenti!!!
“Adesso, come faccio?” Chiese prima a se
stesso e poi all’uomo della paletta verde e rossa. Quello gli suggerì di
correre in piazza Vittorio Emanuele che, forse, ci doveva essere un pullman.
Certi giorni nascono proprio storti. Niente
treni fino all’indomani e, forse, Gennarino poteva fare in tempo a prendere un
pullman, forse.
Accidenti! E ancora accidenti!!!
Maledisse il capostazione, prima col pensiero
e poi, mano a mano che si allontanava, anche ad alta voce. Per partire non gli
restava che quel mezzo stradale, se pure c’era ancora.
Non c’era più nessuno, per strada. Piazza
Vittorio Emanuele sembrava essersi “trasferita” in un altro paese. Irraggiungibile,
nonostante il trafelamento, sempre più pesante ed insopportabile, di Gennarino.
“Maledizione, ma dove si è cacciata questa
benedetta piazza!”, rimuginava Gennarino, sempre più arrabbiato, col treno, col
capostazione ed anche con chi lo aveva avvisato all’ultimo momento.
Il pullman no, quello non poteva perderlo,
seppure ci fosse. E se non c’era avrebbe mandato tutti, proprio tutti, a quel
paese. A tratti sentiva che la rabbia gli annebbiava la vista. Alzò il passo,
nonostante la stanchezza e il malumore.
La luce fioca di un vecchio lampione
illuminava appena una fontana, quella di piazza Vittorio Emanuele. Finalmente.
La piazza c’era ma il pullman no. “Magari deve ancora arrivare”, pensò
Gennarino speranzoso. Due balordi sorseggiano una birra. Chiese loro del mezzo
di linea.
«Na, è appena partito» fu la loro risposta e
lo ribadirono pure: «Mo proprio se n’è andato, due passeggeri e un autista».
A Gennarino
gli si rizzarono i capelli. Proprio non era possibile. Non voleva
crederci. Non poteva andare tutto storto. Prima il treno, poi il pullman.
Maledizione, maledizione!, maledizione!!!
Gennarino andò su tutte le furie e, come aveva
promesso, mandò tutti a quel paese, ma proprio tutti. Imprecò perfino contro il
cielo e decise, suo malgrado, d’incamminarsi a piedi. Chissà se, strada
facendo, non incontrava qualcuno.
Sbraitava e andava.
Mannaggia qui, mannaggia là e andava.
Le stelle illuminavano appena la strada. Non
una macchina, un camion, un mezzo qualunque. Solo lui, nella notte. Cammina e
impreca, Gennarino. Cammina e bestemmia, Gennarino, fino alla collina. Dove,
oltre una lunga curva a gomito,
intravede una luce, forse un fuoco. Sì, è un
proprio un fuoco. Allunga il passo.
Gli si parò davanti uno spettacolo
impressionante. Un pullman, due passeggeri e un autista erano volati nel vuoto,
schiantandosi giù nel burrone sottostante.
E aveva pure bestemmiato!
RispondiElimina