Domenica 24 Luglio 2016
UNA MASCHERA SPECIALE
«Brava, Giovannina, questa volta sei stata
proprio brava» le avevano detto le amiche sarte.
Avevano studiato quel vestito di carnevale in
tutte le sue parti. Fili, tessuti, cerniere ed altre diavolerie erano stati
scelti con la massima cura. Poteva dirsi soddisfatta, Giovannina e,
soprattutto, poteva partecipare al concorso organizzato dalla Pro loco di San
Michele Piovano, il paese a nove chilometri.
“La maschera più bella” lo avevano intitolato ed era già alla quinta
edizione.
Non le era mai venuto in mente di partecipare
ad un concorso, riservata com’era. Ma le sue amiche sarte insistevano. Il suo
vestito meritava sicuramente d’essere ammirato. Non ne avevano mai visto uno
così ben fatto e ricco di particolari. Rifinito a tal punto da potersi
considerare una vera opera d’arte. Sarebbe stato un peccato non indossarlo alla
sfilata. Quando qualcosa riesce a puntino è giusto renderlo noto e poi c’era la
possibilità di vincere un bel gruzzoletto, perché non provare?
Per quel bel vestito di carnevale Giovannina
aveva scomodato la memoria di quella povera, defunta di sua suocera. O forse
era stata quest’ultima a scomodare la nuora ancora in vita. Le era apparsa in
sogno e le aveva consigliato di mettere da parte, almeno per un po’, la sua
aria funebre. La vita è una, e va vissuta fino in fondo. Basta musi. Basta
gonne nere, pantaloni neri, maglioni neri, scialli neri. Prenditi un po’ di
tempo per te. Esci, vai a ballare e a carnevale confezionati un bel vestito,
uno di quelli che lasciano col fiato sospeso e buttati nella mischia. Una volta
tanto fai festa anche tu. Divertiti. Non c’è nulla di male.
La suocera, in sogno, la sapeva proprio lunga.
Volle persino suggerire, all’amata nuora, cosa doveva indossare per carnevale.
Cerca questo e quest’altro. Taglia qui, cuci là, allunga, accorcia, filo
bianco, filo rosso, questo e quell’altro materiale, stai attenta qui, guarda
là, brava così. Vedrai che meraviglia.
Il sogno di Giovannina, in meno che non si
dica, prese forma.
Suocera e amiche sarte l’avevano convinta.
Pregò Carmelo, suo marito, di iscriverla a quel benedetto concorso. Il vestito
di carnevale c’era, lo aveva cucito così come aveva voluto sua madre e le
amiche sarte lo avevano promosso.
Chi sogna numeri, li gioca. Giovannina aveva
sognato un vestito di carnevale, doveva cucirlo. Lo aveva confezionato ed era
riuscito bello come un sogno. Se lo guardò mille volte. Lo trovò interessante.
Sparì dietro alla tenda della camera da letto per non essere vista. I figli
potevano non capire. L’ultima volta che si era mascherata non era ancora nato
nessuno di loro. Carmelo odiava i balli in maschera. Poteva mai sopportare una
moglie in costume carnevalesco? Dietro la tenda Giovannina si specchiò come
poteva e si piacque. L’abito di carnevale le stava a pennello. Il sogno di sua
suocera si stava realizzando.
A San Michele il corso gremiva di maschere.
Carmelo poteva dormire tranquillo: nessuno avrebbe riconosciuto la sua
Giovannina. A carnevale è consentito essere qualcun altro. Gli addetti al
concorso garantivano l’anonimato di tutti i partecipanti. Carmelo era
tranquillo. Forse per la prima volta in vita sua poteva sollazzarsi. Si guardò
curioso tutte le maschere in gara. Guardò, per un momento, altrove. Sua moglie
scomparve tra i tanti mascherati.
Saettò più volte nella strada che ospitava i
concorrenti. Vide Arlecchino, Pantalone, Giamburrasca, Meneghino, e poi un
altro Arlecchino, un altro Pantalone, un altro Giamburrasca, Meneghino, Capitan
Uncino, Mangiafuoco, Cenerentola e tante, tante altre maschere ancora, ma di
sua moglie neanche l’ombra. Dove diavolo si sarà cacciata, combinata com’era!
Cercò e ricercò sua moglie. Niente. Giovannina
era come sparita nel nulla. Pazientò finché l’ultima maschera sparì
all’orizzonte. Carmelo, sempre più
addolorato, non seppe far altro che recarsi in caserma.
Sua moglie era lì, accusata d’oltraggio al
pubblico pudore. E non ci fu verso di spiegare ai militi che Giovannina non era
nuda. Semplicemente indossava un’opera d’arte e non era in condizioni adamitiche.
Le suocere devono farsi i fatti loro.
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