Venerdì 8 dicembre 2017
ISABELLA E NICODEMO
I
Era
già da qualche giorno che Isabella sembrava non essere più la stessa, non essere
come sempre. Qualcosa di inspiegabile sicuramente le stava succedendo, o le era
già successo. Ma cosa? E come? E perché? Nessuno, in paese, sapeva darsi una
spiegazione. Persino Nicodemo, che era suo marito, non riusciva a sbrogliare
quella matassa.
In
verità anche quel povero uomo, ultimamente, non sembrava essere più se stesso.
Almeno agli occhi amorevoli della sua gentile consorte. Anche per lui qualcosa
stava cambiando o era già cambiata e pochi, ancora, se ne erano accorti.
Non
ci resta che entrare, con circospezione, nel loro vivere quotidiano. In punta
di piedi, per non insospettire quella poveretta di Isabella o quell’ingenuo di
suo marito Nicodemo. Lui sì che, fiutando qualcosa, può mandare a scatafascio i
nostri piani, o alterare il campo d’azione nel quale ci toccherà investigare se
vogliamo venire a capo di qualcosa.
La
sveglia che troneggiava da sempre sul comodino di Isabella squillò a lungo, ad
un orario che non era il suo. Comunque si affrettò a tacitarla e le obbedì, per
non svegliare il marito. Incespicando si trascinò fino al bagno di servizio,
dove normalmente Nicodemo armeggiava con schiuma da barba, rasoio e acqua di
colonia. Cercò a lungo un pettine che facesse al caso suo nell’apposito
armadietto e abbandonò il campo, felice d’essere pronta per uscire.
Tornò
nella semi oscurità della camera da letto. Suo marito dormiva ancora. Allungò
le mani nell’armadio, tenendosi sulle punte dei piedi. Tirò giù qualcosa che, a
fatica, indossò. Ebbe la netta sensazione che ciò che aveva addosso non doveva
essere proprio della sua misura. Ma lasciò correre e passando dall’ingresso,
arricchì il suo abbigliamento con un cappello e fuggì per strada.
A
passo levato raggiunse la fermata del pullman, giusto in tempo per salirvi a
volo. Il tepore dell’aria condizionata le tolse di dosso la tensione e si
addormentò.
Al
capolinea toccò all’autista darle uno spintone per buttarla di sotto. Isabella,
riconoscente, si lasciò inghiottire da un grande cancello, piantonato da due
vecchie ancore della seconda guerra
mondiale e incominciò la sua giornata lavorativa. Sirene di navi in uscita e in
ingresso dal porto, le facevano compagnia.
II
I
primi raggi di sole avevano oltrepassato l’avvolgibile della camera da letto. A
Nicodemo toccava ormai alzarsi: troppe faccende lo attendevano, di là in cucina,
ma anche nell’angusta stanzetta, due per tre circa, che sua moglie aveva
adibito a lavanderia.
Si
stropicciò a lungo gli occhi. Allontanò delicatamente lenzuola e coperta,
sedendosi sul letto, pigramente, come non era suo costume fare. Sbadigliò
sollevando le braccia al soffitto, quindi si mise in piedi. Una fiacchezza
ingiustificata gli attraversò tutto il corpo. Difficile, almeno per lui,
capirne la ragione. Qualcosa, in lui, si stava modificando. Il sangue nelle
vene sembrava scorrergli più lentamente. Provava pruriti insoliti e in zone del
corpo da lui normalmente poco considerate, a lui quasi sconosciute.
Piantato di fronte alla porta della
cucina Nicodemo notò subito che nel lavello lo attendevano una tazza da caffè,
con relativo piattino, un bicchiere da acqua, un piatto e una scodella da colazione, un coltello e un paio
di cucchiaini. Eredità di sua moglie Isabella. Si affrettò a ripulire tutto,
prima di mettere mano alla sua colazione.
Gratificato
e rinforzato dal suo cappuccino con briosce, si affrettò a mettere ogni cosa al
proprio posto: le posate nel cassetto di sinistra, le tazze nel mobile in
basso, i piatti e i piattini nella credenza, il cesto delle briosce nel mobile
in basso a destra. Una rapida spazzata sotto al tavolo, tra le sedie, dietro la
porta che dava sul balcone, lungo il corridoio che porta nella zona giorno.
Dal
divano levò un maglione lasciato la sera prima. Lo piegò per bene e lo adagiò
lentamente, per non sciuparlo, nel secondo cassetto dell’armadio, in camera da
letto. Dal ripostiglio, invece, tirò fuori uno straccio verde, quello che si
usava per la polvere e lo fece danzare su tutte le suppellettili di casa.
Detestava la polvere. Spalancò la porta del balcone più grande e si affrettò ad
agitare lo straccio della polvere, per ripulirlo un po’. Giacché era lì
recuperò il bucato freddo ma già asciutto e lo riparò in lavanderia, dove
doveva stirarlo, prima che si asciugasse troppo.
Nicodemo,
stupefatto, guardava attentamente la sua mano che guidava il ferro da stiro.
Non ricordava d’averlo mai usato con tanta padronanza. Le maniche delle camice,
appena stirate, le sembravano uscite allora da una sartoria. Come poteva aver
stirato così bene? Nicodemo, proprio non lo sapeva. Non riusciva a capire cosa
stesse accadendo. La frenesia di fare e rifare, governare la casa, cucinare,
lavare, stirare, stendere, spazzare lo meravigliava sempre di più,
inesorabilmente. Non ricordava d’aver mai avuto tanta voglia di adempiere alle
faccende domestiche. Quelle erano cose della moglie. Quelle sono cose di donna.
Perché, ora, piaceva farle a lui? Che è successo? Cosa sta succedendo? Nessuno
poteva saperlo, nemmeno Nicodemo.
III
Al
porto era arrivata una nave carica di derrate per gli arsenalotti. Ogni comando
inviò il suo gruppetto per scaricare e stivare l’intero carico. L’ufficiale in
seconda di Isabella non ebbe dubbi su chi mandare: lei, che era la più
volenterosa e la più forzuta, almeno così disse lui.
Isabella
si avventò sul carico come non aveva fatto mai. Giù il primo scatolone, poi il
secondo e il terzo e metti qua e metti là. Fino a sera, tra la meraviglia di
tutti i componenti la squadra. Tra la meraviglia anche, in verità, della stessa
donna. Neanche lei riusciva a capire cosa
accadeva. Come mai tanta forza? Come mai tanta voglia di sentirsi un
vero scaricatore di porto? Nessuno poteva saperlo, nemmeno Isabella.
Finalmente
a casa. Guadagnò il divano del salotto e accese il televisore. I notiziari
erano la sua passione. Saltò da un canale all’altro, non trascurando di leggere
e rileggere tutte le strisce che scorrevano, come sempre, ai piedi del monitor.
Suo
marito di là, in cucina, preparava la cena in religioso silenzio. Galeotto, più
che la stanchezza, fu proprio quel silenzio e Isabrella si addormentò.
Sognò
che una volta era suo marito che andava al porto e che alla cena pensava lei.
Lei apparecchiava, sparecchiava, lavava. Era lei che stirava, spazzava,
spolverava. Una volta. Chissà cos’era successo. Nessuno lo saprà mai, ma a lei,
ora, stava bene così.
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