Lunedì 29 novembre 2021
A
25 anni dalla morte dell'operaio petrolchimico: il ricordo della figlia e il
bisogno di giustizia.
La
lettera di Rosangela Chirico, da oltre un ventennio parte attiva nelle
istituzioni scientifiche e ambientaliste per la difesa della vita,
dell’ambiente e dei diritti umani.
“Domenica
28 novembre 2021, ricorre il 25esimo anniversario della morte di Donato Chirico
di Ceglie Messapica, operaio del petrolchimico di Brindisi, scomparso nel 1996
per un cancro epatico. La storia di Donato Chirico è stata messa nero su
bianco, nel 2015, dalla figlia, Rosangela Chirico. Nelle 170 pagina del romanzo
“civile” Plastica (edito Kurumuny), la Chirico racconta la storia del suo papà:
dai ricordi d’infanzia, alle cartelle cliniche, testimonianze del lavoro nella
fabbrica dove “nevicava polvere bianca”, cloruro che si liberava nell’aria
durante le operazioni di insaccaggio e respirato a pieni polmoni da operai come
Donato Chirico. La ricerca della verità su questa morte è ferma al primo grado
del procedimento civile e la lettera che segue, a firma di Rosangela Chirico,
vuole essere un grido, un ennesimo grido affinchè la giustizia possa mettere un
punto al dolore di una figlia (e di una intera famiglia) che ha perso il
proprio padre troppo presto in nome di un lavoro che avrebbe dovuto dare solo
dignità e libertà.
Sono
trascorsi 25 da quando mio padre, Donato Chirico, non c’è più. Sin dal 28
novembre del 1996, si procede sulle vie della giustizia. Ahimè, siamo a un
quarto di secolo pendente sui tempi delle cause italiane. Comunque, che mio padre
è morto a causa del Cvm, il cloruro di vinile monomero, (in parole semplici,
per la plastica) è stato confermato nel primo grado del procedimento civile. Ma
questo non è bastato.
Sin
dai tempi dell’industrializzazione, il territorio ha subito un cambiamento
sfavorevole perdendo la propria identità territoriale e civile. Lo abbiamo
gridato decenni fa, che era urgente custodire la vita umana e la nostra terra.
Eravamo in pochi. Soprattutto lo hanno fatto gli uomini di scienza. Ma non è
bastato. Le morti per lavoro rientrano
nella responsabilità civile e collettiva. È necessario gridarlo forte che ogni
singola morte procurata ingiustamente è sempre un fallimento soprattutto
culturale.
Mio
padre Donato era un operaio che amava profondamente l’energia posseduta dai
giovani. Per loro aveva sempre parole di incoraggiamento. Papà, è morto a 56
anni senza aver visto realizzarsi il suo più grande desiderio: veder nascere i
suoi nipoti e poter dare una mano a crescerli con la sua indescrivibile
dolcezza e allegria insegnando loro ad amare la terra divina e a rispettare la
vita propria e quella altrui, così come ha fatto con noi tre figli.
Ma
quanto tempo dovrà trascorrere prima che, mia mamma Maria, io e i miei fratelli
Giampiero e Tommy, unitamente al nostro perseverante legale Vincenzo Romano e
all’oncologo Maurizio Portaluri, sentiremo dire in via definitiva ‘In nome del
popolo italiano giustizia è stata fatta per Donato’, purtroppo non c’è dato
sapere. Però sappiamo che, più di prima “Siamo nelle mani del buon Dio e sui
passi dei nostri padri. Si va avanti nonostante tutto”.