Lunedì 8 Dicembre 2015
PRIMA IL DOPO
A me può capitare, la
sera, di non ricordare quello che ho fatto la mattina. Ma ciò che mi
successe ventitre anni fa - dico ventitre anni fa - non lo dimentico
mai. Se avete la compiacenza di ascoltarmi ve lo racconto. Vi
assicuro e giuro su quello che ho di più caro al mondo, che quello
che sto per dirvi mi è realmente accaduto. Dovete credermi.
Tralascerò volutamente qualche particolare, per non annoiarvi, ma
state certi che tutto, proprio tutto, risponde al vero. Non un’acca
sarà frutto della mia fantasia.
Una mia vecchia amica,
della quale ho perso le tracce, mi aveva raccontato, qualche giorno
prima dell’incontro del quale voglio riferirvi, che a Nicola non ne
andava bene mai una. Quello che per gli altri era bianco, per lui era
nero. Se pioveva per lui c’era il sole. Ciò che era bollente, per
lui era ghiacciato. Rideva quando c’era da piangere. Di giorno
dormiva, mentre di notte scorazzava nelle sue tenute. Nicola è
l’uomo del quale mi accingo a dirvene delle belle.
Mi rendo conto solo ora
di avervi già anticipato qualcosa. Vi sembrano normali tali
comportamenti? Cosa diavolo poteva essere successo al nostro eroe?
Lo chiesi direttamente
all’interessato, al primo incontro. Quasi sette lustri fa, come vi
ho già riferito.
Incontrai Nicola alle
poste centrali. Lui, come me, doveva pagare una bolletta della luce.
Mi raggiunse allo sportello entrando dalla porta d’uscita e subito
si piazzò davanti a tutti, ignorando la lunga coda. Mise tutti a
tacere gridando che lui cominciava sempre dalla fine. Quindi il suo
posto era in testa a tutti. Proprio davanti a me, nonostante fosse
giunto il mio turno. Lo strattonai violentemente nel tentativo di
conservare la mia posizione. Cadde per terra, trascinandomi su di sé.
Rotolammo insieme per metterci in piedi. Il direttore, apparso per
caso giusto in quell’istante, chiamò la forza dell’ordine,
scambiando una caduta per una lite. Ci trovammo in gattabuia, senza
poter proferire parola. Io e Nicola, in prigione nella stessa cella,
in attesa di essere ascoltati.
L’attesa fu lunga ed
esasperante. Ma tu, Nicola, non potevi aspettare il tuo turno come
tutti gli altri? Mi raccontasti che proprio non potevi, che il tuo
mondo era fatto di contrari. Il dopo, veniva prima dell’inizio. Mi
dicesti cose che non stavano né in cielo né in terra. Tu non potevi
farci niente, perché era nella tua natura vivere sempre e comunque
in controtendenza. Eri fatto così. Nascesti che eri vecchio e, piano
piano, eri diventato prima adulto, poi giovane. Proseguisti che
dovevi vivere l’adolescenza, l’infanzia, quindi essere bambino,
poi pargolo, dopo neonato, infine embrione. Tralasciasti la
gravidanza di tua madre, per pudore. Ecco perché quando sei venuto
alle poste, dove ci siamo conosciuti, hai cercato di piazzarti in
cima alla fila. Perché per te tutto iniziava dalla fine e non certo
perché volevi gabellarci.
Vallo a spiegare alla
gendarmeria. Non lo spiegammo. Non ce ne fu bisogno e rimanemmo lì a
marcire in quella cella. In verità io ad invecchiare, mentre tu,
Nicola, tornavi bambino. Beato te.
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