Martedì 15 Dicembre 2015
ATTILIO E LE MIMOSE
Attilio, il fidanzato di Marisa, apparteneva a quella
categoria di uomini per i quali, le feste di san Valentino e
dell’otto marzo, non andrebbero relegate ad un giorno solo. Secondo
lui, e lo predicava a destra e a manca, sarebbe dovuto essere san
Valentino tutto l’anno. Alla sua donna, però, tutto questo
sembrava una scusa per non occuparsi di regali. In effetti, Attilio
di regali ne aveva fatti proprio pochi. Il proposito di ricordarsene,
almeno per onomastici e compleanni, gli era scemato allorquando
consegnando un'enorme borsa da passeggio, acquistata in verità
all’ultimo minuto, la sua donna, destinataria del dono, gli aveva
rovesciato addosso un perentorio: “Hai forse pensato a tua madre…”
Riportare il finale a noi importa poco. Ci basta sapere che Attilio,
da allora, si convinse che il giorno del compleanno non va
festeggiato. “Aggiungere anni su anni ci invecchia. Non c’è da
essere allegri” -ripeteva ogniqualvolta c’era aria di regali da
fare.- Marisa, nonostante tutto, continuava a credere nella forza dei
doni. Per lei andavano fatti e ne faceva, piccoli ma frequenti. Il
suo Attilio continuava ad essere l’illustre destinatario, anche se,
con la stessa frequenza, gli toccava sorbirsi le prediche pro regali.
Più di una volta la sua donna lo aveva messo alla berlina, trattando
l’argomento con amici comuni. Era un dato di fatto che Marisa non
condividesse l’opinione di Attilio per quanto concerneva il mondo
delle feste e non faceva nulla per nasconderlo, anzi. Per lei
compleanni, onomastici, anniversari, persino trigesimi, andavano
tenuti sempre a mente. Il povero Attilio continuava a rimanere sulle
sue, anche se, ultimamente, non si sentiva più tanto sicuro. Gli era
persino capitato, una volta, di abbracciare la convinzione della
fidanzata. Forse aveva ragione lei. Qualche regalo, ogni tanto,
andava fatto.
L’otto marzo di quel lontano ’56, Attilio era stato
invitato, suo malgrado, a fermarsi per un’ora di straordinario. Il
vestito al quale stava lavorando andava consegnato lo stesso
pomeriggio. Non volle scontentare il suo datore di lavoro, così si
trovò sulla strada di casa con leggero ritardo. Proprio quella sera
che Marisa lo voleva al solito posto quantomeno in orario. Aveva
prenotato un tavolo per due alla Locandiera di Alberobello.
Attilio aveva percorso quella strada centinaia e
centinaia di volte. Ne conosceva l’andamento a menadito. Quella,
però, non era la sua ora abituale. Ricordò, con piacere, che quello
era il momento che più gradiva Alfonso Gatto, il poeta dell’amore:
“Quando non è più giorno e non è ancora notte”. Era il
momento, quello, in cui tutte le cose, piano piano, diventano
indistinguibili. Tutto intorno si copre prima di rosa, poi di rosso,
poi di grigio, quindi di nero. Affondando il pedale sull’acceleratore
ricordò che a meno di tre o quattrocento metri, proprio sul ciglio
della strada, crescevano due incantevoli alberi di mimose.
Probabilmente fu il risultato dell’ora magica, sta di fatto che al
nostro balenò in mente che, per la sua donna, poteva strappare uno
di quei rami. L’otto marzo ogni donna aspetta il suo bravo ramo di
mimosa. Una volta tanto anche lui poteva conformarsi. In fondo non
costava grandi sacrifici. E poi gli alberi dal giallo fiore erano
proprio lì. Doveva solo accostare un attimo. Attraversare e
allungare la mano. La macchina andava e Attilio già pregustava la
gioia di donare un fiore. La sua donna avrebbe sicuramente gradito.
Almeno così immaginava l’uomo. Una volta tanto non arricciò il
naso all’idea di dover fare un piccolo dono, nel giorno della festa
delle donne. Arrestò l’automobile, giusto all’altezza della
mimosa. Ripensò alla sua Marisa, la donna che troppe volte gli aveva
fatto pesare il fatto che continuasse a snobbare certe feste.
Finalmente lei avrebbe potuto ricredersi. Attilio impegnò il centro
della carreggiata. Un camion, proveniente di fronte proprio in
quell’istante, lo falciò. Un urlo bestiale lacerò la semi
oscurità. Il povero Attilio non toccò mai quell’albero di mimose.
Distrutta dal dolore la sua amata imparò ad odiare compleanni e
anniversari, ma soprattutto non volle più regali da nessuno.
Cancellò dal suo vocabolario la parola “mimosa”. Sulla tomba del
suo uomo però, ogni otto marzo, una mano pietosa continuò a posare
quel giallo fiore, per sempre.
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