Domenica 27 Dicembre 2015
A Silvio D’Amico, lo storico del paese, benché non fossero
ancora le sette, non gli restò che alzarsi. Si era girato e rigirato, nel
letto, per tutta la notte, senza riuscire mai a chiudere gli occhi per più di
un’ora. Almeno così gli era parso. Più volte gli era balenato per la mente che
doveva cercare al camposanto di Molfetta, quel tassello che mancava per
completare la sua ricerca su papa Vito, il primo parroco della Collegiata del
suo paese. Lo avevano sepolto lì dov’era morto, più di vent’anni addietro. Si
armò di penna e taccuino e, alla guida della sua vecchia Cinquecento, si recò
dritto al cimitero molfettese. Non gli fu difficile trovarlo. Chi non trovò al
suo posto, invece, fu il custode. Contava sul suo apporto per farsi indicare il
punto esatto dov’era sepolto il monsignore. Aveva bussato e ribussato, finché
non aveva notato, all’angolo della vetrina d’ingresso, un cartello che recava
l’avviso: “Sono in cimitero”. Silvio si lasciò sfuggire un irrispettoso
sorriso, pensando che il povero custode, con quella scritta, intendesse
annunciare a tutti d’essere morto anche lui. Lo storico si avventurò tra tombe
e cappelle, alla ricerca di quello che poteva essere rimasto di papa Vito.
Una prima, sommaria ricognizione si rivelò infruttuosa.
Cercare una tomba non doveva essere come cercare un ago in un pagliaio, eppure
di papa Vito neanche l’ombra. A Silvio non gli andava di importunare nessuno.
Diamine, aveva fatto tanti chilometri per non sapere dove andare? Proprio così,
Silvio non sapeva dove cercare. Doveva necessariamente chiedere aiuto, se non
voleva tornarsene con la coda tra le gambe. Già, ma a chi chiedere? Ognuno, in
quel luogo, va e viene in religioso silenzio. Decise, così, spingendosi più a
sud possibile, di ricominciare a leggere i nomi sulle lapidi. Niente, ancora
niente. Eppure di Sunna, quello era il cognome del nostro, ne aveva scorsi
tanti.
Lo sconforto cominciava a prendere il sopravvento sullo
scrittore. Non gli restava che chiedere e, giustappunto, mancò poco che non
atterrasse un’anziana suora. Lei, certamente, doveva conoscere la tomba di un
prete. Si scusò con la sorella per l’incresciosa botta e si decise a chiedere
lumi. L’anziana suora, come lui, non era del posto, ma di quella sepoltura ne
aveva sentito parlare in convento. Doveva trovarsi tra i loculi della chiesa
Madre, realizzati, tanti anni addietro, in una specie di catacomba, a ridosso
della zona monumentale. Il posto preciso proprio non le veniva a mente,
all’anziana religiosa. Si offrì di accompagnare lo studioso. Una prece non si
rifiuta a nessuno, specialmente a un povero sacerdote sepolto lontano dal suo
paese natale. I due si trovarono presto davanti allo stretto ingresso di un
sotterraneo. Occorreva impegnare una scala di ferro, sistemata quasi
perpendicolarmente, per arrivare sul fondo del locale. L’uomo si fece spazio
davanti alla suora e si offrì di fare da cavia. La scala barcollava sotto il
peso dello storico. Bisognava scendere necessariamente uno alla volta e con la
massima cautela. La suora attese pazientemente il suo turno. In verità avrebbe
voluto evitare quella discesa ma giunta a quel punto non se la sentì di lasciar
fare. Indicare dall’alto il posto preciso dov’era sepolto quel povero sacerdote
poteva suonare come un non voler offrire la sua preghiera. Dal fondo Silvio
armeggiò con la scala a pioli e l’assicurò tra le sue gambe. L’anziana suora
poteva avventurarsi nella sua discesa. Contrariamente a come aveva fatto
l’uomo, si girò di spalle e impegnò il primo gradino. Silvio, da giù, non
poteva fare a meno di guardare la suora. La scala, malferma, non poteva essere
lasciata. L’uomo accostò la testa ai pioli. Alzò lo sguardo al cielo, seguendo
con gli occhi il dondolio della tunica. Stramazzò al suolo.
L’anziana suora non capì mai il perché di quella improvvisa
fine. Lo capì a sera la superiora, ritirando il bucato dal soleggio.
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