DOMENICA 13 APRILE 2014
I RITI DELLA SETTIMANA SANTA A CEGLIE MESSAPICA 1500-1900 di Michele Ciracì
Uno degli appuntamenti più
importanti del popolo cegliese è senza dubbio quello della Domenica delle
Palme: giornata che segna l’inizio della Settimana Santa e precede la Pasqua.
In questo giorno, si celebra
la tradizionale benedizione delle palme e dei rami di ulivo, con la processione
che, nel passato, partiva dalla Collegiata e che, da alcuni anni, si svolge
dalla chiesa dell’Annunziata. Processione che raggiunge la colonna dell’Osanna,
innalzata nel 1946, in sostituzione della vecchia, posta vicino all’antica
porta medievale, che da questa prendeva il nome “Porta della Croce”.
La preparazione delle palme
e dei rami d’ulivo era, ed è, opera di esperti, che tagliavano un mese prima, i
rami e ne intrecciavano le foglie con straordinaria varietà e complessità di
elaborazioni figurative e compositive, prodotto di tecniche e di forme
codificate dalla tradizione.
La palma conservava e
conserva, a livello popolare, un valore magico -religioso e ad essa si
attribuisce una funzione miracolistica. Dopo essere stata benedetta in Chiesa e
custodita in casa, o regalata alla persona con cui si intende far pace,
anticamente veniva portata alle persone anziane ed ai genitori, che
provvedevano a collocarla sulla “sponda” del letto coniugale, muta testimone
della pace tra gli sposi; oppure, attaccata alla parete accanto alla culla
della persona più piccola della famiglia.
Più in generale, ad essa
veniva affidato il compito di vegliare sulla serenità del nucleo familiare e di
scongiurare malattie e calamità. In passato, i contadini portavano un fascio di
palme e di rami d’ulivo in campagna: legato ad una canna, veniva piantato in
mezzo al seminato ormai alto e lasciato così fino alla conclusione delle
operazioni di mietitura. È evidente che questa pratica, ormai dimenticata,
rinviava agli antichi rituali, forse di epoca messapica, volti a propiziare
l’abbondanza del raccolto e la rigenerazione del ciclo vegetale. Le palme,
dunque, venivano usate come strumenti di propiziazione e, come tali, sono anche
soggette ad una serie di prescrizioni e interdizioni.
Un divieto, ancora
largamente osservato, non consente di gettare via i rami precedenti; si
preferisce piuttosto bruciarli per conservarne, possibilmente, le ceneri. Ma le
palme possono assumere anche altri significati, in alcuni dei quali è
riconoscibile la matrice cristiana. Erano, ad esempio, considerate segno di
castità e purezza verginale e, per questo, associate alle figure dei santi
nelle immagini delle tradizionali stampe devozionali.
A questa iconografia è
probabilmente da riconoscere l’uso, ancora vivo in molte case cegliesi, di
mettere un ramo di palma o di ulivo nel corredo funerario, in particolare nella
cassa di una donna nubile.
In quanto segno-oggetto di
dono, la palma è un modo per significare comunicazione: la sua altezza esprime
la misura del sentimento di affetto che l’uomo di chiara di provare per la sua
futura sposa.
Era di norma abbastanza
diffusa che la palma della “zita” fosse alta almeno quanto la sua statura. Nell’ambito
dei rapporti parentali, amicali e sociali in genere, l’offerta di una palma
equivaleva spesso a “lanciare segnali” carichi di motivazioni e di intenzioni:
serviva a rafforzare un vincolo di vicinato, a formalizzare un rapporto di
comparatico, ad esprimere, come abbiamo visto, una volontà di riappacificazione
o, semplicemente, un gesto di solidarietà.
Rientrava quasi sempre nella
complessa fenomenologia degli scambi e delle reciprocità su cui era costituita
la fitta trama delle relazioni comunitarie.
Ma, al di là di ciò che ha
rappresentato e rappresenta, la palma–trofeo devozionale e metafora di messaggi
sociali –era e resta prodotto di una originale e raffinata arte dell’intreccio,
nella quale è possibile identificare, anche oggi, precise “costanti”
tipologiche pur nella molteplicità delle “varianti” segniche e formali che
fanno di ciascun ramo un vero e proprio “unicum”.
Oggi, scomparsi i vecchi
artigiani, a preparare ed a vendere le palme sono i bambini che si industriano
ad intrecciare e dipingere i rami; e, entro certi limiti, imposti dalle
caratteristiche dei singoli rami, nelle operazioni di intreccio è pur sempre
riconoscibile una precisa azione progettuale.
La fattura della palma, la
sua qualità o i tempi di lavorazione, dipendono in gran parte dai numerosi
fogli in cui risulta strutturata, e non meno che dalla complessità di
elaborazione delle singole figure.
Soltanto alla vigilia della
Domenica delle Palme sono di solito guarnite o decorate.
Il lavoro di preparazione e
di applicazione dei materiali ornamentali, necessariamente concentrato in uno
spazio assai ridotto, imprime un ritmo febbrile all’attività e comporta la
mobilitazione di tutti i componenti della famiglia, con prevalenza
dell’elemento femminile; ma oggi, soprattutto, delle associazioni cattoliche
che si sono formate in ogni parrocchia.
In passato, il valore della
palma risiedeva essenzialmente nella sua esibizione; esso era misurato anche in
rapporto alla sua qualità e quantità degli elementi di carattere decorativo che
erano aggiunti al corpo vegetale dell’intreccio.
Il fiocco o il santino con
cui si corredava e si correda ancora oggi la palma, non sono mai stati
interpretati come accessori, qualcosa di secondario o complementare, sono
piuttosto unità segniche che assumono, o almeno assumevano, una loro valenza
semantica e funzionale nella concreta destinazione d’uso dell’oggetto nella
dinamica dei rapporti che si istituiscono tra chi la dona e chi la riceve.
Per i cegliesi, la Domenica
delle Palme è ancora importante perché, proprio in questa domenica, si
concretizza l’“asta” per assicurarsi i simulacri dei santi Misteri, il giorno
in cui si realizzano le speranza, oppure vengono disillusi i sogni cullati per
un anno intero.
L’”asta” è stata definita il
“mercato della religiosità”, il modo peggiore di sporcare, con vile denaro, un
fatto così intimo ed importante della religiosità in una settimana in cui più
forte dovrebbe essere la coscienza di fare penitenza, di chiedere perdono dei
propri peccati, la Settimana in cui acquistare l’indulgenza ed il perdono di
Dio.
Ancora oggi, non si è
trovata la formula efficace che permette di effettuare una selezione tra i
cittadini abilitati a portare a spalla le statue dei misteri, niente di più
complicato di una normalissima sta, con la differenza che non vi è aggiudicazione
definitiva e che nessuno compra niente, anche perché non vi è nessuno che
vende, tutto ciò è un bene? Forse male?
Comunque, l’asta è stata per
molti anni un veicolo importante di promozione sociale per molta gente che ha
visto così riconosciuta, positivamente, la propria diversità. Nella nostra
città, quindi, a molti cittadini non sarà sembrato vero che, al di là della
specificità religiosa dell’evento, una volta tanto erano i nobili, sul ciglio della
strada, a doversi scoprire il capo al transito delle sacre immagini e ai
portatori.
Certamente, non vi era
fanatismo (cosa che, purtroppo, accade oggi), da parte dei portatori; non era
un mettersi in mostra agli occhi della gente, anche perché la scelta di portare
le statue significava grande fatica fisica, oltre al dispendio di denaro.
Tutto questo accadeva, sino
ad un paio di anni fa, quando l’asta è stata abolita dalla Confraternita che
gestisce da sempre le processioni del Venerdì santo, e sostituita da un’offerta
libera da parte dei portatori.
Prima dell’istituzione dell’asta
avvenuta all’inizio di questo secolo, tutte le statue venivano portate a spalla
dai fratelli delle confraternite.
Ogni confratello era tenuto,
per tutto il tragitto percorso dalle statue, a portare per un certo periodo di
tempo il simulacro; erano esentati i malati e gli anziani.
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