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I Racconti di Damiano Leo

Domenica 12 Giugno 2016

AL MIO FUNERALE

   Mi viene in mente l’evangelico: “Chiedete e vi sarà dato”. Così ho chiesto a me stesso e, con mia grande sorpresa, ho ottenuto di partecipare al mio funerale.
   Sicuramente non è una cosa di questo mondo e, ne sono certo, non è mai stata concessa a nessuno. Forse perché a nessuno è venuto mai in mente di chiederlo. Io l’ho fatto, dopo che ci pensavo da tanti anni. Ho rimuginato, pensato e ripensato, sognato più e più volte di accompagnare il mio feretro al cimitero, di vedere da vicino cosa mi succederà nel giorno della mia dipartita, che qualcuno o qualcosa che regola questa nostra vita terrena si sarà seccato a tal punto da concedermelo. Nutrivo così tanta curiosità da smuovere le montagne. Dovevo necessariamente essere accontentato. Lo volevo con tutte le mie forze. Sono stato accontentato.
   Provateci anche voi, non si sa mai. Se è successo a me, potrà succedere anche a voi e leverete lo sfizio di sapere anche voi cosa succederà nel giorno del vostro ultimo viaggio.
   Comunque a me è successo, ve lo posso e voglio raccontare. Voi, però, non andate a dirlo in giro. Non voglio passar per matto e non voglio che, tutti insiemi, contemporaneamente, chiedono a se stessi o a chi vogliono loro, di vivere la mia stessa esperienza. So da me che non è possibile. Non sta né in cielo, né in terra. A nessuno, a parte me, è dato di accompagnarsi al campo santo.
   Vi dico subito che ne sono uscito profondamente deluso.
   Nulla è andato come ho sempre immaginato.
   Al primo segnale di mancamento, che avevo avuto dopo che mi ero sorbito un caffè doppio, al bar del centro, avrebbero dovuto chiamare un medico o il 118, ma nessuno lo fece. Dissero che era stato solo un lieve calo di pressione. Bastava un bicchiere d’acqua ben zuccherata e tutto si sarebbe risolto. Non bastò, giacché, la stessa notte, anche se tra le mura domestiche, mi accasciai al suolo senza più rialzarmi. Anche questa occasione fu diversa da come l’avevo immaginata io. Accasciarmi al suolo sì, ma mentre mi sbellicavo dal ridere, in un teatro.
   Mi ricomposero adagiandomi in una bara color marrone scuro. Io ne avevo immaginata una più chiara, molto più chiara. Il vestito nuovo, chiaramente color nero e io lo avevo sempre desiderato bianco, me lo infilarono a forza due becchini, sebbene avessi sempre preferito che a sistemarmelo dovevano essere le amorevoli mani di mia moglie. Lei che subito urlò il suo dolore ai quattro venti, mentre io avevo preferito che, il dolore, se lo doveva tenere ben stretto nel suo cuore.
   Sul manifesto scrissero prima il cognome e poi il nome. Io preferivo il contrario, giacché avevo sempre detto che l’individuo viene prima della famiglia.
   Spogliarono il salone per riempirlo di sedie, disposte tutte intorno alla bara. Mentre io mi ero immaginato in camera da letto, con tutto, ma proprio tutto, al proprio posto.
   Per me niente fiori, solo opere di bene. Invece mi affogarono la sala, il pianerottolo ed anche le scale di garofani, rose e gigli da togliere il respiro a chiunque.
   Volevo anche i bambini durante la veglia funebre. Dovevano sapere da subito che nessuno è eterno su questa terra. “Nascendo, accettiamo la morte”, avevo detto sempre. Di ragazzini, al mio funerale, neanche l’ombra.
   In chiesa c’erano solo i parenti più stretti. E pensare che, per me, avessi sognato il tutto esaurito.
   Il prete, d’accordo con la povera vedova, aveva dispensato dal triste rito delle condoglianze. Eppure, secondo me, quello era il momento migliore per far sentire la propria vicinanza ai miei parenti più prossimi. Anche il momento per far sapere loro chi c’era e chi non c’era. Invece niente. Tutti a casa, contrariamente a come avevo sperato io.
   Non sopportavo le bande di paese. Mi accompagnarono con la banda di paese. Detestavo le marce funebri. Come per dispetto, tanto non potevo né parlare, né sentire, intonarono subito la più classica delle marce funebri.
   Per uscire dalla chiesa mi caricarono su di un vecchio carrello a quattro ruote. Io avrei preferito essere accompagnato a spalle.
   Le campane suonarono triste a distesa. Io avrei preferito il silenzio. Massimo silenzio. Tanto tutti, prima o poi, sapranno che me ne sono andato anch’io.
   Il corteo fece il giro della parrocchia. Io avrei preferito tirare dritto per la sepoltura. Senza aspettare il giorno dopo, come invece fecero.
   Nulla, lo ribadisco, proprio nulla è andato come volevo io, al mio funerale.
Così ho deciso di non morire, mai.

2 commenti:

  1. Non omnis moriar;multaque pars mei vitabit Libitinam.
    (Orazio)

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  2. Il racconto è allo stesso tempo realistico e fantasioso.Non è una contraddizione,ma un modo di concepire la realtà...con una certa "previsione".

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