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I Racconti di Damiano Leo

Domenica 21 Febbraio 2016

UN ALTRO NATALE

         In due non totalizzavamo più di dodici anni ed io ero il piccolo. Eravamo entrambi, io e Teresina, iscritti alla scuola delle Pie Discepole del Divino Amore, nel centro storico di Parmeto, il nostro paese d’origine.
         Qualche giorno prima della recita di Natale, recita che segnava la chiusura della scuola e l’inizio delle sospirate vacanze, nel salone principale, che era quello delle grandi cerimonie, due operai avevano ammucchiato un gran numero di enormi scatoloni marroni. Tempestati di scritte che nessuno di noi riusciva a leggere. Scoprimmo poi che si trattava di colli che provenivano dalla base americana di stazza a San Michele Piovano.
         L’interrogativo: «Cosa c’è dentro?» aleggiò gioioso fino all’incontro con tutti i genitori per il saluto natalizio. I nostri non c’erano, impossibilitati come sempre. L’ansia di scoprire cosa contenevano quei cartoni e, soprattutto, la voglia di sapere se il loro contenuto fosse destinato a noi, riuscì a mitigare, sia a me che a Teresina, l’assenza di parenti o conoscenti con delega di accompagnamento.
         Mano a mano che quei cartoni venivano aperti aumentavano in noi gioia ed entusiasmo. Come da un cilindro magico, nelle mani di un prestigiatore, saltavano fuori parallelepipedi color nocciola, che venivano adagiati tra le braccia di noi bambini. Anch’io ebbi il mio bel pacco. Mi capitava molto di rado di riceverne uno e da chi avrei dovuto riceverlo? Più stringevo a me il regalo e più rosee si facevano le mie guance. Scommettere sulla mia crescente felicità  era un gioco da ragazzi. Persino Teresina se ne avvide, lei che sapeva solo pensare a se stessa. Ero felice, con il mio pacco americano di farina-latte.
         Prima ancora che si svuotasse la scuola, io e la mia amica, eravamo già in via Palmieri, a  quattro o cinquecento metri dalle nostre case. La farina-latte, che ancora m’inondava di gioia, cominciava a diventare sempre più pesante, almeno per me. Non volevo fermarmi, come mi aveva suggerito Teresina. Fremevo dalla voglia di condividere la mia gioia con quelli di casa. Bastava stringere denti e pacco un altro poco e saremmo giunti a destinazione.
                               Quella bambina non l’avevo visto sbucare da nessuna parte, eppure era davanti a me e chiedeva di darmi una mano a portare il mio pacco, sempre più pesante, in verità. Certo pesava, ma conteneva la mia farina-latte, quella della mia scuola, quella che ci era stata regalata dagli americani, ed era tutta la mia felicità. L’intrusa mi spintonò. Urlò che “doveva” aiutarmi e scappò via con la mia farina-latte. Sparì nel nulla, così come dal nulla era comparsa. Teresina non seppe far altro che stringersi addosso, ancora di più, il suo regalo. Forse temeva che anch’io “dovevo” aiutare qualcuno e intorno a me c’era solo lei, ormai. Ma non si scompose. Sapeva che i bambini non rubano ai grandi, anzi, non rubano mai, specialmente se non hanno nulla, come me allora. E tornai felice, aspettando un altro Natale.

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