Domenica 24 Aprile 2016
SUL TERRAZZO
L’amministratore lo aveva ribadito più volte
che il palazzo abbisognava di manutenzione e in modo serio. Non bastavano più i
soliti rattoppi fai da te. Ma erano anni che le assemblee condominiali
svirgolavano sul problema. Si tirava a campare e il tetto, lo capiva persino un
bambino, si deteriorava sempre più.
Giovannina restava dell’idea che il lastrico
solare andava rifatto. Prima l’avrebbero accontentata e meglio sarebbe stato,
per tutti. Ne era certa e continuava a pazientare.
In verità, negli ultimi mesi, molti, del
palazzo, avevano notato un continuo Sali e scendi dal terrazzo. Qualche volta
lo aveva fatto anche il geometra Scorpelli con il suo grosso cane lupo. Ma,
essendo l’amministratore, nessuno aveva dato troppo peso alla circostanza.
Neanche Giovannina.
Il giorno aveva piovuto a dirotto e il vento
aveva tempestato l’intero circondario. I sibili si erano protratti fino a notte
inoltrata e Giovannina proprio non riusciva a prendere sonno. Qualcosa le
ronzava in mente. Piano piano il dubbio che poteva accadere un imprevisto
diventava sempre più serio.
Forse non ci crederete, ma la donna, quella
notte, aveva udito un urlo, o, comunque, una voce, venire dalla tromba delle
scale. Si era posta a sedere sul letto, per prestare ancora più attenzione.
Quella voce non veniva più dalle scale. Forse dalla strada o dall’appartamento
sottostante. Giovannina non era più sicura di nulla. Qualcosa o qualcuno doveva
esserci, da qualche parte. C’erano i ladri sul tetto? Chiamo la polizia?
Sveglio il condominio? Qualcuno mi dica
cosa si fa in queste circostanze.
Giovannina continuava a sperare, a sognare, ad
ingigantire, a normalizzare la situazione, ad ingigantirla, a creare fantasmi.
Ormai ne era certa: sul tetto stava accadendo qualcosa di inspiegabile. In
strada non c’era nulla. Lo aveva appurato sbirciando da dietro la tenda della
camera da letto prima e del salotto poi.
Provò a far finta di niente, cercando
l’abbraccio di cupido, ma non ci riuscì. Sgranando gli occhi nel buio e
aguzzando le orecchie le era parso di sentire un lamento. Forse un pianto. Il
vento aveva cessato ma gli urli ancora no.
Poteva, Giovannina, aspettare fino a domani?
Con la luce del giorno tutto si sarebbe risolto, probabilmente. Ma se sul
terrazzo, che si chiedeva e si apriva solo dall’interno, fosse rimasto
qualcuno? Magari proprio l’amministratore o qualche suo delegato? O qualche
condomino sprovveduto?
Giovannina non si dava pace. Sul terrazzo
c’era sicuramente qualcuno. Ne aveva più volte sentito la voce. Le era parso
una richiesta d’aiuto. Quindi, per fortuna, non erano ladri. Loro non chiedono
mai soccorso, sul luogo del misfatto. Si tranquillizzò quel tanto che le bastò
per cadere in dormiveglia. Accadesse quel che doveva accadere. Lei, sul tetto,
non doveva andarci.
S’allungò le lenzuola fin sopra la testa.
Chiuse gli occhi più che poté, cercando il sonno, ma quello non venne.
Un altro gridolino aveva riempito la stanza da
letto. Giovannina risolse che doveva alzarsi. Doveva andare sul terrazzo. Ci
andò. Sotto alla vestaglia a fiori nascose un vecchio mattarello. Poteva
accadere di tutto.
Con passo felpato si spinse fino all’ultimo
piano. Sperò di non incontrare nessuno, per le scale. Come spiegare quella
passeggiata notturna?
Il chiavistello della porta in ferro del
terrazzo si trovava nella posizione di chiusura. Lo spinse a destra. Tirò a sé
la porta. Un grosso cane lupo l’abbracciò.
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