Sabato 30 Aprile 2016
LE OLIVE E LE PEPITE D’ORO
Gli errori che si
fanno in gioventù s’impara a riconoscerli soli ad una certa età. Dopo che se ne
sono vissute, di esperienze. O anche dopo l’accadimento di qualcosa di
veramente strano, particolare, potrei dire incredibile.
A me è successo proprio dell’incredibile e ve
lo voglio raccontare. Ma non storcete il naso e abbiate la compiacenza di
credermi. Vi assicuro che quanto vi racconterò, anche se frettolosamente, è
veramente accaduto. Confesso che non lo faccio poi tanto volentieri. Certe
storie, difficile da digerire, potrebbero creare problemi sia a chi le
racconta, che a chi le ascolta. Ma, per onore della verità, vi voglio rendere
partecipi di quanto mi è accaduto. Statemi ad ascoltare.
Non avevo più di quindici anni e, di andare in
campagna con i miei, proprio non ne volevo sapere. Era cosa dell’altro mondo.
Anzi, per me, chi lavorava nei campi, da notte a notte, era fuori dal mondo.
Meglio girovagare in città. Qualcosa da mettere sotto i denti la si rimediava
sempre e tempo per se stessi ne rimaneva a iosa.
Non volevo “spaccarmi” la schiena per un pugno
di olive. Mia madre mi supplicava invano di dar loro una mano e andavano.
I mugugni, in famiglia, diventavano sempre più
ossessionanti. Gli altri miei fratelli, quelli che una mano la davano, già
cominciavano a minacciare di comportarsi come me. Qui si lavora tutti o noi non
lavoriamo.
Mio padre era un uomo paziente e soffriva in
silenzio. Mia madre, più volte, gli chiese di porre rimedio, di fare
assolutamente qualcosa.
Una sera, mio padre e mio fratello maggiore,
rientrarono più tardi del solito. Trafilati. Gioiosi come non li avevo visti
mai. Chiamarono subito mia madre e le mostrarono qualcosa, volgendomi entrambi
le spalle. Ero troppo piccolo per vedere, per capire.
«Ma queste sono pepite, pepite d’oro!» esclamò
felice mia madre e continuò: «Siamo ricchi! Siamo ricchi!!! Gennarino
–rivolgendosi a me- tuo padre ha trovato una fortuna!».
La fortuna, mio padre e mio fratello,
l’avevano trovata raccogliendo le olive. Le pepite d’oro le avevano trovate
separando il frutto dalle foglie. Almeno così mi dissero i miei e mi convinsero
a seguirli nei campi.
«Più siamo, più facile sarà trovare altre
pepite», mi disse mio padre e cominciai a “spaccarmi” la schiena anch’io.
Raccolsi olive già dal giorno dopo il felice
ritrovamento. Un padre non mente mai ad un figlio. La bella scoperta, prima o
poi, sarebbe capitata anche a me. Dovevo solo raccogliere le olive, tante
olive. Anche al freddo, con la pioggia, febbricitante, per tanto, tanto tempo.
Così come avevano fatto mio padre, mia madre, i miei fratelli.
Quel grande telo verde, nel mio primo anno di
raccolta, si riempì, più e più volte, soltanto di olive. Giacché le avevo
raccolte furono portate a molare. Erano le mie olive che andavano molate: ci
andai anch’io, al frantoio. Una lunga fila di raccoglitori d’olive aspettava il
proprio turno.
A notte
inoltrata ci raggiunse mio padre.
Si trascinava dietro un paio di capienti
contenitori. Li allungò all’uomo della molitura. Mi chiamò a sé.
«Guarda le tue pepite, le tue pepite d’oro» mi
disse felice mio padre.
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